29 settembre 2011

COMUNICATO DEL CISDA SU BURHANUDDIN RABBANI

Da www.osservatorioafghanistan.org

Rabbani non era un uomo di pace, non era un eroe, non è un martire.

Burhannudin Rabbani era uno dei peggiori criminali che la storia afghana ricordi.
 Ha cominciato la sua lunga carriera criminale negli anni Ottanta gettando vetriolo in faccia alle studentesse dell’Università di Kabul, insieme al suo “compagno di merenda” Massoud.

Ha commesso genocidi, ha fatto uccidere, stuprare, torturare, bombardare migliaia di civili afghani. Ha distrutto la città di Kabul nella guerra fazionale tra il 1992 e il 1996. Ha continuato, anche in tempi recenti, a guidare la formazione più oscurantista nello scenario politico afghano. Ancora recentemente le sue milizie sono state accusate di rapimenti, stupri e uccisioni di bambine. Nel 2010 il governo di Karzai ha concesso un’amnistia in modo che criminali come lui non potessero mai essere giudicati da un regolare Tribunale Internazionale.

Quando dieci anni fa le truppe USA-NATO hanno occupato il paese, gli afghani avevano grandi aspettative: al primo posto chiedevano giustizia. Chiedevano che i signori della guerra come Rabbani venissero spediti davanti a un Tribunale a rispondere di un trentennio di crimini inenarrabili.
 Ma tutto quello che hanno avuto è la loro legittimazione agli occhi della comunità internazionale.

Ora c’è solo rammarico: nei siti afghani si dice che Rabbani è stato ucciso con le sue stesse armi; che la giustizia doveva arrivare con un Tribunale Internazionale e non per mano di altri assassini come lui.
 Di fronte all’uccisione di un criminale certamente ci si può – anzi ci si deve! – rammaricare di non essere riusciti a processarlo come avrebbe meritato.

Ma la reazione dei media italiani, anche quelli di sinistra, è semplicemente raccapricciante, nella loro neutralità e acquiescenza. Tacere sui crimini compiuti da Rabbani è esserne complici, è non voler vedere la fame di giustizia degli afghani. Continuare sulla strada intrapresa dalle forze USA-NATO, cioè legittimare e lasciare al governo criminali come Rabbani, renderà sempre più intollerabile l’occupazione militare in Afghanistan.

CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane onlus)


22 settembre 2011

RESOCONTO XV INCONTRO DELLA RETE INTERNAZIONALE DELLE DONNE IN NERO CONTRO LA GUERRA.

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Come avete letto a luglio l’incontro internazionale delle Donne in Nero del 2011 si è svolto a Bogotà, Colombia.

Cuerpos y Territorios sin guerras ni violencia, era il titolo.

In effetti tutto l’evento si è svolto attorno a questo titolo e ai suoi soggetti, come i corpi sono segnati, colpiti, feriti, uccisi a causa della guerra e della violenza che ne consegue, una violenza che però fa anche parte della cultura patriarcale che caratterizza questo paese che ci ha ospitate e tutti paesi del mondo nei modi più svariati, più o meno violenti.

Al centro c’è stata la situazione della Colombia, attraversata da un conflitto armato pluridecennale che abbiamo visto in tutte le sue caratteristiche e intrecci con gli interessi delle multinazionali, con la corruzione dei governi e in genere delle classi dirigenti, con una distribuzione della ricchezza profondamente ingiusta in un paese che per le sue risorse potrebbe essere il più ricco del mondo e far vivere la popolazione senza miseria né violenza, con un cinismo e pervicace difesa dei propri privilegi da parte delle classi più ricche in un paese in cui il sistema neoliberista non fa altro che impoverire una percentuale sempre più alta della popolazione con soluzioni economiche che sempre di più diventano modello per tutto l’occidente.

C’erano tante donne, più di 300 da molti paesi, dall’Africa, l’Asia, l’Europa, il Nord America e l’America latina e da diverse regioni della Colombia, abbiamo percorso un lungo cammino di scambi, incontri e relazioni che ci hanno portato a realizzare quello che era stato già un auspicio a Valencia nel 2008, si è aperta una strada che non avevamo mai percorso finora e che ci ha portato fuori dall’Europa per raggiungere l’America Latina, negli incontri precedenti eravamo andate al massimo in Israele e Palestina, dopo molti anni di ex-Yugoslavia durante la guerra e poi in Italia, e Spagna. Un unico grande cruccio, non aver potuto far partecipare all’incontro una donna Afgana, malgrado i nostri sforzi, perché non esiste rappresentanza diplomatica colombiana in Afghanistan e tutte le altre vie tentate si sono rivelate impercorribili.

Per tutto l’incontro ci hanno accompagnato gli atti simbolici delle Mima-Hadas, fate/mime che hanno usato la gestualità, la performance, la danza, il silenzio e leggère come i loro vestiti fatati, hanno dato imput, alleggerito silenzi e momenti dolorosi, introdotto sessioni.

Il quadro della militarizzazione dei territori e della vita, il conflitto armato vissuto direttamente con le sue tragiche ricadute sulla vita delle donne in Colombia ci hanno accompagnato nelle plenarie nei workshop ma hanno assunto un tratto internazionale con l’intervento di donne da India, Serbia, Bosnia, Palestina, Israele, Congo che hanno rafforzato l’analisi sulla violenza sulle donne e il suo esacerbarsi con la guerra e sottolineato l’importante ruolo delle donne per una lotta per la fine della guerra e per la pace basata sulla non violenza. Da vittime a soggetti attivi, creativi e indispensabili perché la guerra esca finalmente dalla storia, una storia piena di “eroi” e “grandi strateghi della morte” di cui facciamo e faremo volentieri a meno.

Importante l’incontro con Piedad Cordoba, senatrice colombiana che porta avanti con tenacia e grande coraggio l’obiettivo dell’uscita dal conflitto armato attraverso la negoziazione politica, obiettivo condiviso e assunto già da molti anni dalle donne della Ruta Pacifica de Mujeres/Donne in Nero di Colombia.

Piedad Cordoba ha condotto anche negoziati trasparenti e chiari sia nelle modalità che negli obiettivi con l’unico scopo di liberare persone rapite dalla guerriglia e che si trovano nelle loro mani anche da 13 anni come è il caso di alcuni militari, è riuscita nel suo intento ma l’accusa di contiguità con la guerriglia che l’ha poi perseguitata ha permesso a una classe politica miope e corrotta di espellerla dal senato con un atto illegale, esponendola a minacce e pericoli da più parti. Si tratta di una straordinaria figura di afrodescendiente orgogliosa delle sue origini e dotata di grande determinazione.

Abbiamo incontrato le attiviste colombiane che oltre all’attivismo contro il conflitto armato, lavorano su vari piani nelle varie regioni, contro la violenza sulle donne, per la protezione delle bambine e delle donne dagli attori armati che usano i loro corpi come bottino di guerra, per il loro empowerment anche in campo economico, per la difesa della terra, delle sementi autoctone, delle biodiversità, per la sovranità alimentare, contro sistemi di apparente lotta alla droga come le fumigazioni che distruggono nei territori la possibilità di colture alternative, avvelenano l’acqua, fanno ammalare le persone, contro il desplazamiento che colpisce molto le donne cacciate dalla violenza dei paramilitari che uccidono membri della famiglia o bruciano le case e i raccolti o dalle incursioni dei guerriglieri e i conseguenti conflitti a fuoco con l’esercito o altri attori armati.

Il tema della memoria/giustizia, verità e riparazione ha attraversato l’incontro con testimonianze e rituali di protezione e sorellanza che aiutano a vivere in un attivismo della memoria che addolcisce il dolore e ne fa un tema di lotta costante..

Abbiamo concluso con un rituale di scambio di doni e testimonianze di affetto e riconoscenza alle internazionali da parte delle donne colombiane delle varie regioni, per essere andate in Colombia rispondendo al loro appello.

L’ultimo giorno è stato caratterizzato da un sit-in/manifestazione nel centro di Bogotà, ci siamo andate truccate come l’immagine della donna che ha dato il proprio volto all’incontro, facce bianche con occhi contornati di viola e nero, femministe/donne in nero contro la guerra con un rituale di protezione delle donne di tutti i paesi, momento che resterà nel nostro cuore di attiviste per sempre.

Abbiamo deciso che il prossimo incontro internazionale delle Donne in Nero sarà in Uruguay.

Abbiamo redatto una dichiarazione finale che tocca le sfide che sono di fronte alla nostra rete nel mondo e le azioni che intendiamo portare avanti insieme.

XV ENCUENTRO DELLA RETE INTERNAZIONALE DELLE DONNE IN NERO CONTRO LA GUERRA.

Bogotá (Colombia) 15-20 agosto 2011

Abbiamo percorso un lungo cammino per arrivare fino a qui. Siamo venute più di 300 donne di molti paesi, dall’Africa, l’Asia, l’Europa, il Nord America e l’America latina e da diverse regioni della Colombia, per riaffermare che noi DONNE in NERO del mondo non rinunceremo alla nostra aspirazione a vivere in un mondo libero da guerre, paura e violenza. Le frontiere non impediscono le nostre relazioni, non c’è oceano che possa sommergere la nostra indignazione o cancellare le nostre speranze.

Non rinunciamo a smascherare i crimini commessi contro noi donne e contro le bambine, in tempo di guerra e in tempo di pace, negli spazi pubblici e privati. Non rinunceremo a denunciare l’uso dei nostri corpi come bottino dei militari.

Viviamo in una realtà mondiale, dominata dal militarismo e dall’apologia della guerra. Noi donne stiamo subendo sempre più diverse forme di violenza: in vari paesi del mondo eserciti regolari o irregolari utilizzano lo stupro come strumento di punizione contro comunità ritenute vicine al nemico; anche la resa in schiavitù di donne a fini sessuali è una realtà grave e ad essa si unisce la complicità degli organismi di sicurezza nel traffico di donne e bambine. Per di più stiamo assistendo alla privatizzazione della sicurezza.

Nella logica militarista si ritrovano insieme l’industria militare, le multinazionali e i grandi mezzi di comunicazione; questi ultimi si assumono il compito di giustificare la guerra, abituare la popolazione alle armi e ai loro effetti e a fare propaganda per i regimi e i leader che difendono i loro interessi. Fanno pure passare una visione della vita in cui conta il denaro facile e dominano il maschilismo, l’ostentazione e il disprezzo per la vita umana.

Il militarismo, a diffusione globale, sta penetrando le mentalità e tutti gli spazi di libertà, intimità e privacy. La militarizzazione della vita quotidiana è il fenomeno più pericoloso per la sopravvivenza della specie umana. La natura è già minacciata dall’azione predatrice delle multinazionali, la cui impunità è garantita dalla complicità con militari e regimi corrotti.

Ovunque si rafforzano le mafie, il narcotraffico e altre forme di delinquenza, che rappresentano poteri occulti. Molti militari, legali e illegali, sono in relazione con le grandi mafie del narcotraffico. In tutto il mondo cresce il consumo di droga. Inoltre stanno legittimandosi nuove forme di violenza come fame e malnutrizione.

Denunciamo il coinvolgimento del settore finanziario e delle transnazionali nelle guerre. Denunciamo la crescente vulnerabilità delle donne che difendono i diritti umani in tutto il mondo, specialmente nel sud.

Le DONNE in NERO ritengono i fondamentalismi religiosi, i militarismi e i nazionalismi fenomeni collegati che si comportano in modo simile verso le donne.

Noi donne vogliamo de-costruire la sicurezza militarizzata, e stiamo costruendo proposte per proteggere le donne in situazioni di pericolo. Le nostre analisi indicano che gli Stati per le loro caratteristiche possono contribuire all’aumento dell’insicurezza piuttosto che ridurla. Per le DONNE in NERO, quindi, le questioni relative alla sicurezza devono essere incentrate sulle persone e non sugli interessi degli Stati.

In questo contesto mondiale, noi DONNE in NERO stiamo opponendo resistenza al patriarcato, la cui massima espressione è il militarismo. Ci impegniamo a ribellarci permanentemente ai militarismi globali e a disobbedire ai totalitarismi, gli autoritarismi, le dittature e i nazionalismi. Siamo unite nel ripudio della guerra e della militarizzazione globale che colpisce specialmente le donne e tutte le persone escluse. Diamo tutto il nostro sostegno a soluzioni politiche e negoziate ai conflitti armati e alle guerre.

Desideriamo una società senza militarismi, che garantisca la vita e il pieno sviluppo delle donne, in libertà. E’ innegabile che le guerre ed i conflitti acuiscono le violenze, l’omofobia e la discriminazione contro di noi. Da qui deriva l’imperativo etico di essere contro la guerra e organizzarci e mobilitarci come DONNE in NERO contro la Guerra.

Noi DONNE in NERO esigiamo che non restino impuniti i crimini contro le donne. Ci pronunciamo contro la guerra e la barbarie, ci mobilitiamo affinché la paura e l’impotenza non ci paralizzino.

Riaffermiamo la resistenza civile e la nonviolenza come nostri strumenti e diamo valore ad altre forme per esprimere questa resistenza come le reti sociali, il boicottaggio, la letteratura, l’uso della contra-informazione, l’aver cura di noi stesse.

Ovunque noi DONNE in NERO siamo unite nel dolore che proviamo. Ovunque diamo impulso a principi etici e di solidarietà femminista. Ovunque ci unisce la capacità di reagire: invece di disperarci, stimoliamo l’azione creativa, la disobbedienza, l’empatia, la solidarietà, la resistenza e la ribellione. Tessiamo voci e silenzi, accompagnamento e solidarietà, con altre diverse donne. Cerchiamo una nuova comprensione a partire dalla compassione, dall’attenzione alla sofferenza.

Vogliamo che ci siano sempre più DONNE in NERO impegnate nella nostra resistenza pacifica. Vogliamo sfidare i poteri con la verità. Vogliamo trovare parole per parlare alla coscienza del mondo. Vogliamo decolonizzare le nostre menti e la nostra immaginazione al di fuori del modello patriarcale.

Continueremo vestite di nero per tutte le vittime conosciute e anonime di tutti i conflitti, per manifestare creativamente la nostra indignazione, per sanare le nostre ferite fisiche e psichiche e per gridare: Vogliamo un mondo senza guerre, paura e violenzA.

DONNE in NERO (e non solo) di BELGIO, BOSNIA-ERZEGOVINA, ECUADOR, GRAN BRETAGNA, HONDURAS, INDIA, ISRAELE, ITALIA, MESSICO, PALESTINA, PERÚ, REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, SERBIA, SPAGNA, STATI UNITI, TUNISIA, URUGUAY E COLOMBIA.