29 marzo 2011

L’ITALIA E’ UN PAESE IN GUERRA PERMANENTE

…e non da oggi, infatti siamo da 10 anni in Afghanistan E ORA IN LIBIA.

Contro l’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, e in cui si specifica che viene ripudiata non solo la guerra di aggressione (offesa alla libertà degli altri popoli), ma anche la guerra usata per risolvere le controversie internazionali: anche se avessimo ragione in una controversia la nostra legge fondamentale ci vieta di far valere la ragione con le armi e invece ci suggerisce di avviare e attuare tutti gli strumenti di confronto diplomatico e giuridico.

Dunque anche la controversia che ha al suo centro la Libia è tra gli eventi che non si possono affrontare con le armi.
Inoltre partecipiamo a una missione che va contro il dettato della Carta dell’ONU che vieta l’intervento negli affari interni di un paese.

Non siamo indifferenti alle sorti della popolazione libica come non eravamo indifferenti alle sorti dei migranti confinati nei lager di Gheddafi, in forza del Trattato con Tripoli sui respingimenti, votato a suo tempo anche dall’opposizione, e ieri riconfermato dal parlamento, ma siamo consapevoli che gli interventi militari sono fallimentari per l’esperienza del Kosovo (ora grande base militare USA), della Somalia, dell’Iraq, e soprattutto dell’Afghanistan dove nessuno degli obiettivi dichiarati è stato raggiunto soprattutto sul piano umanitario.

Consideriamo l’interventismo umanitario un inganno assoluto, non solo perché per definizione siamo contro ogni guerra ma perché le esperienze passate e presenti lo dimostrano.
Si lasciano, al contempo in condizioni inumane i migranti approdati a Lampedusa abbandonati, insieme alla popolazione locale, dalle autorità che dovrebbero occuparsene con una politica dell’accoglienza, nel rispetto di quei diritti umani che sanno “difendere” solo con le armi.

Questi interventi militari si inquadrano in una politica globale che si fonda sull’economia di guerra che mette al centro la vendita e l’uso delle armi. Come si giustifica infatti che la Libia, a fronte di un territorio abitato da circa 7 milioni di abitanti, si riarma, solo nel 2008 per 1 miliardo e 100 milioni di dollari, con l’export bellico ufficiale italiano verso Tripoli che dai 14,97 milioni di euro del 2006 passa ai 111,80 milioni di euro del 2009, con una fornitura illegale di armi leggere da parte dell’industria bellica italiana per 79 milioni di euro?
Mentre il riarmo italiano previsto ammonterà complessivamente a 1 miliardo, senza contare le spese militari per le missioni di guerra in cui siamo coinvolti (65 milioni di € al mese solo per l’intervento in Afghanistan)

A fronte dei tagli feroci a scuola, cultura, ricerca, sanità, Enti Locali, ambiente, in Italia vediamo il settore degli armamenti e delle spese militari non subire mai alcuna riduzione, al contrario di quanto avviene in altri paesi europei.
NO ALLA GUERRA NO AI BOMBARDAMENTI,
SOLUZIONE NEGOZIATA E NON ARMATA DELLA CRISI LIBICA
SOSTEGNO ALLE LOTTE DEI POPOLI DEL MEDITERRANEO E DEI PAESI ARABI PER LIBERTA’, DIGNITA’ E GIUSTIZIA.
NO A RESPINGIMENTI E PATTUGLIAMENTI DEL MARE
SI’ ALL’ACCOGLIEZA, SIAMO TUTTE E TUTTI CITTADINE E CITTADINI DEL MONDO
RITIRO DI TUTTE LE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN

Donne in Nero e non solo Marzo 2011

4 marzo 2011

8 MARZO Donne a Bologna Unite, Diverse, Libere.

Martedì 8 marzo 2011, Piazza Maggiore,
dalle 18,30 alle 20,30.

L’8 Marzo perché è momento simbolico e non rituale di una lunga storia di lotte di donne in cui riconosciamo un patrimonio che appartiene a tutte e che a tante vogliamo trasmettere. Perché nasce dalle lotte durissime di operaie immigrate e sceglie la mimosa, fiore povero e spontaneo tra i primi a fiorire.
Chi siamo. Chi promuove l’iniziativa è il Gruppo di donne che, sotto la denominazione condivisa “Né per bene né per male. Unite diverse e libere”, ha organizzato la manifestazione del 13 febbraio 2011. Siamo singole, aggregazioni informali, associazioni annose e nuovissime; femministe e lesbiche; donne che si richiamano ai movimenti di donne nel sindacato e nelle forze politiche; giovani e non, migranti e native, laiche e credenti che abitano spazi comuni fisici o virtuali o vivono in casa.
Le parole Unite, Diverse, Libere che usiamo, e useremo ancora, indicano la comune volontà di pensare e agire adesso e la presenza di storie, accenti, posizioni differenti. La cultura politica di tante donne ha creato autonomia, autodeterminazione, libertà; ha mostrato il ruolo sociale esercitato dai rapporti di forza tra i sessi e dalla distinzione tra privato e pubblico che li ha mascherati; ha colto nelle relazioni fondate sulla fiducia e la libertà il cuore stesso della politica, una politica da proporre a tutti.
Contesto. Vogliamo dire basta a comportamenti inaccettabili del potere verso le donne; a femminicidio, violenze sessuali e domestiche che colpiscono innanzitutto quante non le accettano, a condizioni di vita indegne soprattutto tra chi è giovane o anziana. Questi fenomeni s’intrecciano e aggravano gli attacchi a Costituzione, Parlamento e Legge e la crisi del sistema rappresentativo. E s’intrecciano alla crisi economica che ha portato al 49% di inoccupazione femminile, al quasi 50% di disoccupazione tra le giovani e alla precarizzazione imperante. Vogliamo dire basta a norme intollerabili come la legge Bossi Fini e il pacchetto sicurezza, ai Centri di identificazione ed espulsione e ai respingimenti, che rendono vulnerabili le vite delle migranti e ancor più quelle di giovani migranti che si prostituiscono; alle complicità e ritardi del nostro governo, che ha negato il vento di libertà che donne (e uomini) hanno portato in Tunisia ed Egitto; e hanno condotto, perfino, a ritardare la denuncia dei crimini contro l’umanità in Libia.
Bologna è città commissariata per vicende di sesso/potere/denaro. A Bologna si uccidono e si fa violenza a donne. A Bologna c’è un Centro di identificazione ed espulsione. A Bologna i nodi del reddito, del lavoro e del precariato riguardano moltissime donne.
Molto è cambiato per le idee e la presenza femminili nei decenni scorsi.
Molto va cambiato oggi. Il senso e l’obiettivo di trovarci insieme è di riconoscerci, colmare fratture e costruire un’Agenda Politica condivisa, anche se libertà e responsabilità ciascuna le guadagna nell’esperienza e nella coscienza personali. Perciò ci interessa l’8 marzo e i giorni che verranno: vogliamo continuare a pensare e ad agire con le diversità che ci caratterizzano e nell’autonomia politica costruita. Un impegno preso il 13 febbraio, rinnovato in questi giorni, proposto qui a tutte le donne interessate.
I temi posti all’attenzione da tempo sono tanti perché plurali sono soggettività e desideri femminili e molteplici sono gli aspetti dell’esistenza che riguardano l’essere uomini e donne e l’essere soggetti sessuati con diverse identificazioni di genere. Ricordiamo: la necessità di cambiare modello economico e sociale di fronte alle crisi ricorrenti e alle disuguaglianze crescenti, l’urgenza di un reddito adeguato a condizioni di vita degne per tutte, la crucialità del lavoro, dell’uscita da situazioni di perdita del posto di lavoro, di cassa integrazione, di precariato ricattatorie per l’autonomia femminile – oggi si assiste non solo alla demolizione del welfare, ma a forme d'accesso al reddito che penalizzano le giovani e le migranti; il dovere di fermare i femminicidi e le violenze quotidiane e di sostenere le donne che combattono contro la violenza maschile; l’obbligo di garantire il riconoscimento di diversi orientamenti sessuali. Infatti, l'eteronormatività vorrebbe imporre ancora alle donne un unico destino di mogli e madri entro una famiglia cosiddetta naturale, laddove ogni donna deve godere della libertà di scelta in ordine al proprio corpo, al lavoro, alla sessualità e alla maternità.

Non faremo come se la partecipazione maschile alla manifestazione del 13 febbraio non abbia significato. L’invito agli uomini è, tuttavia, che partano da sé: si dissocino da comportamenti sessisti e maschilisti ovunque si manifestano, nelle case e nei palazzi; difendano la loro, non la nostra dignità. Alcuni già lo fanno. Altri hanno preso a farlo in questi giorni. Solo da qui può allargarsi il confronto.

L’8 marzo perché è occasione per dirci in tante che un’intera cultura politica può cambiare, un intero sistema di potere può cambiare, i rapporti tra uomini e donne possono cambiare. Una sfida da affrontare insieme.


Vi invitiamo Tutte a essere presenti con noi in
Piazza Maggiore Martedì 8 Marzo 2011