16 ottobre 2010

La Camera delle Donne scrive al Presidente Napolitano


Al Presidente della Repubblica

E p.c. Al Presidente della Camera dei Deputati

Al Presidente del Senato

Ai Capigruppo di Camera e Senato

Al presidente Zavoli

Napoli, 15/10/10

Gentile Presidente,

estendiamo questa stessa alle Cariche Istituzionali in indirizzo, convinte che sia un atto dovuto per le responsabilità che ricoprono.

Le associazioni delle quali siamo portavoce, più e più volte hanno apertamente espresso dissenso ed indignazione per l’arroganza e la grossolanità del pensiero di fondo che ispirano la comunicazione pubblica rivolta al nostro genere nel nostro Paese.

Anche in Parlamento e in Senato abbiamo avuto modo di constatare, più che percepire, il tono dispregiativo, il linguaggio proprietario e la circostanza ricorrente del rivolgersi a noi cittadine identificandoci con meri oggetti sessuali. Si colpisce così non solo la soggettività reale delle donne, ma la stessa Costituzione nei suoi principi di uguaglianza.

Mentre migliaia di donne ogni giorno sono colpite dalla cieca violenza di chi vuole continuare a privarle della libertà di decidere, di muoversi ed esprimersi, tali espressioni e comportamenti, delineano un’irresponsabile forma di connivenza culturale con i crimini perpetrati su donne e bambini.

Fatti gravissimi, che tutti non dovremmo dimenticare, sono purtroppo in gran parte derubricati dalla politica ed archiviati in cronaca nera o ancora come episodi, se pur deprecabili. Infatti non abbiamo notizia di esiti delle denunce su violenze sessuate ai danni di bambine, donne e bambini perpetrate da soggetti in missioni di pace, che vedono il nostro Paese partecipe. Infatti lo sfruttamento della prostituzione, reato previsto da nostro codice, è trattato come argomento di opinabile illegalità se non occasione di ilarità.

Non può essere sfuggito a nessuna delle Autorità, cui estendiamo questa, il pesante clima di disvalore diffuso da eletti e rappresentanti del Popolo verso la metà della cittadinanza, e verso tutte le donne presenti sul nostro territorio, sia dentro che fuori dal Parlamento: si tratta di allusioni pesanti e di esplicite dichiarazioni che si ispirano a ruoli puramente sessuali e ancillari riservati alle donne.

L’Italia ha accumulato ritardi secolari in materia di contrasto alle violenze, in materia di servizi a sostegno del lavoro di cura, in merito all’equa ripartizione del potere tra generi, nonché alla disparità dei livelli retributivi tra donne e uomini. Noi attribuiamo tali ritardi, additati e sanzionati dall’Europa, al perpetuarsi del dominio arcaico maschile che è progressivamente legittimato da una comunicazione verbale e comportamentale lesiva della dignità femminile.

Noi riteniamo ed affermiamo che i dovuti richiami ufficiali da parte di chi ne ha responsabilità, ancora non pronunciati, facciano parte del diritto non negoziabile alla dignità e alla libertà dagli stereotipi per tutto il nostro genere, così come pensiamo che la civiltà relazionale tra donne e uomini sia un postulato per la costruzione della democrazia.

Signor Presidente, già nel 2004, a Napoli, ha voluto rispondere a noi e a tutte le cittadine italiane, sulla necessità di esprimere un più forte impegno istituzionale nel contrasto alla violenza contro il nostro genere.

Oggi di fronte all’emersione, da noi fortemente voluta, della reale dimensione del Femminicidio nel nostro Paese, crediamo che l’autorevolezza di un suo richiamo ad un linguaggio e a pratiche più responsabili da parte degli eletti, sarà determinante nella ricostruzione di un rapporto tra politica e cittadini.

La Camera delle donne

(UDI di Napoli, Arcidonna Napoli, Associazione Maddalena, Donnesudonne, Donne in nero NA, Associazione Febe, Giuriste Democratiche, Associazione Karabà. Coop. Eva, Associazione Salute donna, Udi di Portici, Self, Donne Medico, Associazione Pimentel, Comitato 194)

Rif.

cameradelledonne@gmail.com

12 ottobre 2010

Né talebani, né Usa


La resistenza dei democratici afghani - Il dossier
di Cristiana Cella

L’Unita 23 SETTEMBRE

In un Paese che vuole essere considerato democratico agli occhi del mondo, chi si batte per la democrazia è costretto alla clandestinità o quasi. Nel silenzio dei media occidentali, continuano a testimoniare ogni giorno che in Afghanistan non c’è solo fanatismo, violenza e disperazione. C’è una resistenza attiva che ha attraversato 30 anni di tragedie continuando a lottare, ognuno con i propri mezzi, senza illudersi. Sono organizzazioni della società civile, associazioni di donne, Ong , che cercano di rimediare al disastro umanitario del paese, singoli cittadini di tutte le etnie e strati sociali, e un partito. Vogliono una democrazia laica che rispetti i diritti umani, soprattutto delle donne, che garantisca ai cittadini sicurezza, salute, istruzione, giustizia. Chiedono che i criminali di guerra e i boss della droga siano cacciati dal Parlamento, insieme a talebani e integralisti islamici, che i corrotti siano puniti. Che le truppe straniere smettano di uccidere la popolazione inerme e di sostenere e finanziare il governo più corrotto al mondo. Che si garantisca la trasparenza delle elezioni e la possibilità di votare a tutti i cittadini. Per queste idee, condivise da gran parte della popolazione, in Afghanistan si può rischiare molto, anche la vita. Andeisha Farid è presidente di Afceco, una Ong che gestisce orfanotrofi, da anni, in Pakistan e Afghanistan, sostenuti da donatori di tutto il mondo. «Ogni atto della mia vita è una battaglia contro i talebani. Ogni bambino, strappato alla guerra e al fanatismo, che fiorisce nella pace e nella tolleranza, è una vittoria contro di loro e contro tutti i fondamentalisti». Eppure in una quieta notte di agosto la casa della sua famiglia è stata sconvolta. Alle due di notte un commando di 30 uomini, armati fino ai denti, poliziotti afghani e soldati stranieri, sfondano la porta, distruggono l’appartamento, rubano le poche cose di valore, costringono l’anziana madre e la sorella a terra, con i fucili puntati, e si portano via il padre di ! 70 anni e il fratello di 15, con un cappuccio nero in testa. Li rilasciano, dopo due giorni, senza nessuna spiegazione. «È questo il modo di garantire la sicurezza? Siamo fortunati, ad altri è andata peggio. Ma siamo stanchi di vivere nella paura, presi tra due fuochi. La violenza dei talebani e quella del governo e dei suoi alleati». Qualche giorno prima uno slogan chiarissimo era gridato per le strade di Kabul: «Non vogliamo né gli americani né i talebani». Una manifestazione pacifica reggeva cartelli con le foto di corpi di bambini, donne e uomini, devastati dai bombardamenti Usa e Nato, dagli attentati talebani. E la rabbia, in questi giorni, continua a crescere. La manifestazione, come altre in questi mesi, è stata organizzata da Hezb-e-Hambastagi, il Partito della Solidarietà. Trentamila iscritti, né finanziatori, né padroni. «Il nostro progetto è quello di riunire tutti i democratici, indipendenti e onesti, in una sola coalizione. Ci vorrà del tempo ma il nostro popolo ha bisogno di un punto di riferimento», dice Rahimi, il vicepresidente. Il partito è stato fondato nel 2003 dal dottor Mateen che, come Rahimi, aveva combattuto i russi e l’integralismo islamico, negli anni ’80. In migliaia sono stati uccisi o dall’uno o dall’altro. «Anche oggi abbiamo più di un nemico: i talebani, il governo e l’occupazione degli Stati Uniti e dei loro alleati. Dopo nove anni, nessuno crede più che siano qui per ricostruire il Paese». Alle elezioni del 2005, 7 di loro sono stati eletti, in maggioranza donne. Ma in un Parlamento dominato dai fondamentalisti, dal narcotraffico e dall’ intimidazione, è impossibile far sentire la propria voce. Alle elezioni di sabatos corso non si sono presentati. Per protesta contro un voto che non ha nessuna legittimità. Le voci della società civile sono tutte d’accordo, Le elezioni sono una farsa che ha già registrato molti omicidi. I brogli che hanno portato alla presidenza Karzai sono ben no ti. Questa volta sarà ancora più facile. Il Presidente, co! n un eme ndamento alla legge, ha ottenuto di nominare lui stesso tutti e cinque i membri della Commissione di Controllo Elettorale (Ecc) (alle passate elezioni tre erano eletti dall’Onu). «Farà quello che vuole. Qui non conta chi ha votato ma chi, adesso, conta i voti. I risultati sono già decisi» dice Hafiz, giornalista di Jalalabad. «Non c’è alcuna libertà di informazione, i voti si ottengono con i dollari o col kalashnikov, le schede false circolano liberamente. La corruzione è legge. Nessuno può garantire la sicurezza. La paura di attentati e ritorsioni non risparmia nessuno. Soprattutto le donne. Le candidate sono state minacciate, rapite, costrette a ritirarsi. La condizione delle donne è sempre più disastrosa, come potrebbero votare liberamente quando non possono nemmeno uscire di casa?». Mahud fa parte del Gruppo di Coordinamento per la Giustizia Transizionale, una coalizione di 25 associazioni della società civile che si batte da anni contro l’impunità dei criminali di guerra. «Una buona parte dei nostri parlamentari dovrebbe rispondere a un tribunale internazionale sui delitti commessi negli anni della guerra civile. Nelle loro province continuano a governare con la violenza, senza alcun rispetto dei diritti umani. Karzai, invece, ha garantito ai warlords l’amnistia, con la Legge di Riconciliazione Nazionale, fatta passare quasi in segreto. Nessuno gli ha impedito di ripresentarsi e saranno sempre loro a essere eletti con qualche talebano in più, dopo la pacificazione con gli insorgenti, decisa alla Conferenza di Kabul. Raccogliamo ogni giorno consensi tra la gente ma, per raggiungere il nostro scopo, ci vorrà molto tempo». Pazienza e coraggio sono tra le poche cose che in Afghanistan non mancano. Rawa, l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane, si batte per i diritti delle donne, contro il fondamentalismo, dal 1977. «Come si può pensare a elezioni democratiche in un Paese sconvolto dalla guerra, in mano a d elinquenti armati, che è diventato il centro internazionale! del tra ffico di droga? La truffa delle elezioni serve a Karzai per liberarsi dei suoi avversari e controllare meglio il Parlamento e agli Usa per il loro show democratico. Se anche qualche brava persona riuscirà a essere eletta non avrà alcun potere». Dice Mehmooda, militante dell’organizzazione, la più minacciata per le sue posizioni radicali: «Le truppe della coalizione devono ritirarsi. Il disastro in cui ci troviamo è provocato dai talebani, dalla guerra e dall’occupazione, dal governo dei fondamentalisti. Tutte parti di uno stesso gioco. La maggioranza dei talebani si vende al miglior offerente. Sono pedine degli Stati confinanti in funzione antiamericana. Ma anche con gli americani fanno accordi. Giustificano l’occupazione e servono a Karzai per bilanciare lo strapotere dei warlords. Il suo governo sta in piedi solo col sostegno degli Usa che continua a riempire le loro tasche di dollari e il Paese di morti innocenti. Se le truppe si ritirassero, non sarebbe un paradiso, ma questi fantocci crollerebbero, sarebbe più facile sbarazzarsene. E finirebbe l’incubo dei bombardamenti».

Article taken from OSSERVATORIO AFGHANISTAN - http://www.osservatorioafghanistan.org

7 ottobre 2010

Presidio del primo ottobre in ricordo di Teresa Buonocore












Bologna P.zza Nettuno
Il 1 ottobre 2010 ore 18
Altracittà lista civica di donne di Bologna

ha chiamato le donne della città a partecipare al presido in solidarietà e in concomitanza con la fiaccolata delle donne di Portici indetta dall'UDI di Napoli per ricordare Teresa Buonocore uccisa per aver denunciato lo stupro della figlia.
Riportiamo il comunicato dell'Udi, che condividiamo in tutto e per tutto
BASTA MORIRE PER ESSERE LIBERE
Una fiaccola, più una, più una ..........per Teresa

Saremo tutte in piazza, a Portici con le donne di Portici, con tutte le donne che hanno paura, con tutte quelle che hanno coraggio,

Per lei che ha vinto la paura, per avere il coraggio di andare verso la libertà di sua figlia e delle figlie di tutte, vogliamo scandire le parole che avrebbe detto, se le armi omertose “della famiglia” non l’avessero zittita. Teresa voleva vivere, parlare e compiere i gesti necessari a tutte.

Teresa non cercava la morte, cercava la vita come deve essere vissuta, e ha chiesto allo Stato di vincere con lei sull’arroganza efferata che spezza le vite di bambine, bambini e donne.

Ancora una volta è stato troppo tardi, un altro motivo per dire basta con tutta la forza che abbiamo e per dire che non basta deplorare. Un altro motivo per chiedere che tutti, ma prima di tutti lo Stato, scelgano da che parte stare.

Gli assassini hanno colpito per affermare il diritto a disporre dei corpi e delle coscienze, per stabilire chi comanda. Il grido delle donne, la loro capacità di opporsi al controllo mafioso sulle loro vite sono un patrimonio di civiltà che non può e non deve essere più essere dissipato e calpestato.

All’orrore non si risponde con le lacrime. Il coraggio delle donne, il coraggio di Teresa, rivendica il riscatto della politica dalle complicità con chi usa donne e bambini come oggetti.

Ci vogliono atti concreti, ci vuole una legge organica contro le violenze, ci vuole la salvaguardia delle vittime, perché sono le testimoni, il bene più prezioso per costruire la giustizia. Ci vuole coraggio e i politici devono finalmente averne, quello delle donne troppo spesso finisce nel
sangue.

Invitiamo tutte ad essere con noi, con una fiaccola per la libertà dal silenzio che avvolge un crimine antico e organizzato, che deve e può essere sconfitto: di fronte al dolore di sua figlia e di ognuna, mobilitarsi perchè Teresa sia l’ultima è un dovere non un’utopia.

BASTA MORIRE PER ESSERE LIBERE
BASTA MORIRE DA DONNE PER LIBERARE TUTTI DALL’ORRORE

Udi di Napoli, Udi Di Portici, La Camera delle donne, Associazione Maddalena, Arcidonna, Donne Medico Arcilesbica, Istituto Campano per la Storia della Resistenza, Femminismo a Sud, UDI Monteverde (Roma), Consigliera di Parità della Provincia di Napoli, Donne in nero Napoli, Pina Orpello dell'ANPI, Dolores Madaro - Anpi, UIL Napoli, UIL Campania, UDI Catania, UDI Romana La Goccia, DonneSudonne, Rosa Oliva - Aspettare stanca, Cooperativa Eva, Centro Antiviolenza Eva, Centro Antiviolenza Aradia, Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, UDI "le orme"- Reggio Calabria, UDI Lentini. CEDAV Messina, Controviolenzadonne, MediterraneanMedia- Cosenza, CGIL Campania, CGIL Napoli, Associazione Sott' e n'coppa, Sportello Antiviolenza Lilith, Associazione Salute donna, Centro La Magnolia, AFEM (association femmes Europe Meridionale), CISL Campania, CISL Napoli, Casa Internazionale delle Donne- Roma, Tina Femiano, Centro antiviolenza ERINNA- VT, Rosanna Leone, Associazione Onesto Rossi, Fuoricampo Associazione Lesbica - Bologna, Quelle che non ci stanno -Clitoristrix- Bologna, Altra Città- Lista civica di donne - Bologna.

5 ottobre 2010

Solidarietà delle Donne in Nero di Bologna a Nosheen

Esprimiamo tutta la nostra vicinanza a Nosheen, la ragazza pakistana selvaggiamente picchiata dal fratello per essersi ribellata a nozze imposte e la cui madre Begum Shahnaz, intervenuta in sua difesa, è stata uccisa dal marito a Novi di Modena.

Nosheen aveva da poco conseguito la qualifica di operatrice della moda in un istituto superiore di Carpi e, pur non avendo mai avuto un gesto di ribellione nei confronti della famiglia, aspirava come tante sue coetanee a una vita serena da condividere con un compagno liberamente scelto.

Ci fa inorridire la reazione violenta degli uomini della sua famiglia che, succubi di una cultura patriarcale, hanno così brutalmente esercitato il loro potere di maschi su due donne indifese.

Sottolineiamo che l’episodio non ha nulla a che vedere con la religione islamica: basta ricordare le centinaia di donne che quotidianamente in Italia e nel resto del mondo sono vittime della brutalità dei loro uomini.