27 febbraio 2010

Martedì 2 marzo : Promuoviamo la non violenza


Donne in Nero Bologna

In collaborazione con Ass. Orlando


PROMUOVIAMO LA NON VIOLENZA:

“NUOVE” FORME DI IMPEGNO E RESPONSABILITÀ PER LA PALESTINA

Martedì 2 marzo 2010

ore 21.00

Centro di Documentazione delle Donne via del Piombo 5, Bologna


presentazione e proiezione del bellissimo film


Sotto tregua Gaza di Maria Nadotti

(33 min., col., Italia, 2009)

“Quando, il 27 dicembre del 2008, l’esercito di Israele ha attaccato Gaza da terra, dal mare e dal cielo, contando sul silenzio complice degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dei media internazionali, è diventato vitale cercare altre voci, altre narrazioni, e provare ad ascoltarle con attenzione, con il fiato sospeso.”

presentazione della campagna BDS (boicottaggio-disinvestimento-sanzioni): aderiamo alla campagna lanciata già da tempo da tante associazioni della società civile palestinese e sostenuta dalla Coalition of Women for Peace e dalla WILPF in Israele

testimonianze della Gaza Freedom March, interventi da parte di donne che vi hanno partecipato, tra queste Maria Carla Biavati e Irene Lucisano.

24 febbraio 2010

Malalai Joya a Bologna giovedì 25 febbraio


Malalai Joya è per tutte noi un "mito", per il suo coraggio e la sua tenacia, per aver dedicato tutta la sua ancora breve vita alla lotta contro "i signori della guerra" nel suo martoriato paese, l'Afghanistan, contro l'occupazione militare USA e NATO, e per i diritti delle donne e della popolazione Afghana che tanto ha sofferto e soffre per il perdurare di uno stato di guerra continua nel paese.

Malalai Joya, non ha mai conosciuto la pace. È nata infatti sotto l’occupazione russa. Dopo la caduta dei Talebani è stata eletta parlamentare. Malalai ha dedicato la vita ad alzare la voce contro l’oppressione delle donne afgane e contro i signori della guerra. Per questo è stata espulsa illecitamente dal Parlamento. È oggetto di continue minacce di morte e vive una vita blindata. Per tutto questo è costretta a indossare in Afghanistan quel burka contro cui ha da sempre lottato. Continua a fare sentire la propria voce. Gira il mondo Malalai, va dove viene chiamata ed è accolta con affetto e riconoscenza per avere la forza di continuare a lottare per il proprio paese e per dare un immagine di donna così forte e insieme fragile ma sicura di sè e del ruolo che svolge nel mondo.Anche fra noi!

SIAMO ORGOGLIOSE DI AVERLA QUI A BOLOGNA IL 25 FEBBRAIO PROSSIMO, UNA TAPPA DI UN LUNGO GIRO EUROPEO CHE LA VEDE IMPEGNATA IN QUESTO PERIODO,

SARA' ALLA LIBRERIA DELLE DONNE DALLE 18, DIMOSTRIAMOLE TUTTO IL NOSTRO AFFETTO E SOSTEGNO!!!!!

DONNE IN NERO Bologna e CISDA Milano

17 febbraio 2010

A spese delle donne afghane – di Sahar Saba


I tentativi degli statunitensi di scendere a patti con i taleban non hanno né sorpreso né sconvolto le donne afghane.
Le donne afghane non sono ingenue come le donne progressiste in giro per il mondo, oggi profondamente frustrate da questo tradimento statunitense. Le donne progressiste avevano riposto le loro speranze negli Usa, che promisero che si sarebbero sbarazzati dei taleban. Oggi, dunque, sono molto sorprese dagli attuali sforzi fatti dall’amministrazione Usa per portare i taleban a una trattativa. Le mie sorelle afghane non sono impressionabili. Hanno vissuto gli orrori di 30 anni di guerra civile, l’esperienza ha insegnato loro che l’imperialismo lavora solo per il suo profitto.
Nonostante i media abbiano dipinto i taleban come “anti-americani”, le donne afghane non ci hanno mai creduto. Stanno emergendo sempre più prove riguardo al tacito sostegno che gli Usa avrebbero fornito ai taleban negli anni ’90, per aiutarli a rendere stabile il loro regime.
Non è stata la totale esclusione delle donne dalla vita pubblica sotto il regime dei taleban a renderli universalmente impopolari tra le donne. Ma le donne afghane odiavano i talebani per gli insulti ricevuti in pubblico se una donna non era vestita in modo consono (cioè se portava i tacchi alti) o se rideva.
Qualche mese fa, una fustigazione pubblica nella valle dello Swat ha scosso il Pakistan. Nelle strade di Kabul, durante il regime dei taleban, questo era lo spettacolo quotidiano. Quando due coraggiose attiviste, rischiando la vita, filmarono l’esecuzione pubblica di Zarmina nello stadio di Kabul, nessun canale televisivo statunitense volle mandare in onda le immagini. Il filmato che mostrava Zarmina in burqa, accovacciata in mezzo al campo di calcio con un fucile puntato alla testa da un taleban vestito di bianco venne considerato scioccante per il pubblico statunitense.
Fu solo dopo l’11 settembre che RAWA (Revolutionary Afghan Women Association), le cui attiviste avevano filmato quell’orribile scena che mise in allarme il mondo intero sulla condizione delle donne afghane, iniziò a ricevere telefonate da parte dei responsabili di canali televisivi statunitensi. Tutti volevano mostrare l’esecuzione di Zarmina. In vista dell’invasione dell’Afghanistan il video non era più considerato scioccante per il pubblico statunitense.
Quando infine i taleban sono stati sostituiti da un regime formato da brutali, misogini e sadici signori della guerra riuniti sotto il nome di Alleanza del Nord è stato evidente che la retorica sulla liberazione delle donne afghane era solo un pretesto. I signori della guerra dell’Alleanza del Nord erano gli stessi che per quattro anni si erano divertiti a distruggere, prima dell’arrivo di taleban. In confronto al regime dell’Alleanza del Nord anche le crudeltà dei taleban nei confronti delle donne erano apparse come un sollievo. Almeno, con i taleban, le donne non venivano rapite e violentate ma “soltanto” insultate, soggiogate ed escluse dalla vita pubblica.
Poi, nel periodo post taleban le donne afghane hanno sentito un certo sollievo. Ma oggi la situazione delle donne afghane non dovrebbe essere paragonata a quella dell’era taleban o a quella dei mujaheddin (1992-96), quando l’Alleanza del Nord controllava il paese. Paragoniamola al periodo 1970-80 per capire quanto le donne afghane, da allora, abbiano perso potere. Non è un esercizio nostalgico ricordare gli anni ’70 e ’80. A quel tempo le donne afghane godevano di qualche diritto, almeno nelle grandi città; invece, purtroppo, nelle zone rurali, non ci sono mai stati cambiamenti radicali.
Ma ora, dopo nove anni di occupazione americana, noi donne afghane non siamo neppure prese in considerazione. Da molto tempo siamo state escluse dai discorsi ufficiali. E più gli insorgenti taleban avanzano, meno le donne afghane vengono prese in considerazione. E non si tratta di amnesia.
Gli Usa hanno avviato, due anni fa, trattative con un famoso signore della guerra, Gulbuddin Hekmatyar. Si sono svolti degli incontri in Arabia Saudita, sotto lo sguardo dei reali sauditi. Hekmatyar ha conquistato la sua fama come leader degli studenti negli anni ’70 all’università di Kabul. Era un membro del gruppo fondamentalista Salafi ed era tristemente noto per gettare acido in faccia alle ragazze che non portavano l’hijab. Fu nell’università di Kabul che iniziò la sua carriera di criminale, uccidendo il leader degli studenti maoisti Saidal Sukhandan. Durante la jihad contro i sovietici venne sostenuto dalla Cia, dall’Isi e dai sauditi. I suoi crimini meriterebbero un saggio a parte. Va aggiunto che dopo l’11 settembre si è alleato con i taleban.
Così, dopo aver corteggiato Hekmatyar, gli Usa hanno ci stanno provando con i taleban. Probabilmente alcuni di loro verranno pagati per deporre le armi. Altri, i più duri, rimarranno nascosti nelle grotte.
Per compiacere i disertori taleban, Karzai verrà costretto a islamizzare maggiormente il suo regime. Infatti, per fare un favore agli estremisti sciiti del suo governo, ha già legittimato ciò che è visto dai più come uno stupro in famiglia (la legge si applica solo alle donne sciite). Ora vedremo quali brutalità misogine verranno legalizzate da Karzai per compiacere taleban. Comunque sia, l’intento di queste trattative è solo quello di stabilizzare l’occupazione Usa in Afghanistan, anche se questo significa imbarcare nuovamente i taleban. Così, le donne afghane saranno di nuovo, e ancora più di adesso, le vittime sacrificali della cosiddetta sharia che i taleban vorranno imporre. Il circolo dell’ipocrisia si chiude. Nel 2001 gli Usa hanno occupato il nostro paese in nome delle donne afghane. Ora Washington tratta con i taleban a spese delle donne afghane.

Sahar Saba, attivista afghana

9 febbraio 2010

Non in nostro nome: permesso di soggiorno a punti

Da PeaceReporter

05/02/2010
Le elezioni regionali sono alle porte e il governo emana i primi provvedimenti sulla sicurezza

Dopo la patente, arriva il permesso di soggiorno a punti. Gli immigrati avranno a disposizione due anni per totalizzare i trenta punti necessari per ottenere l'anelato documento. In questo lasso di tempo dovranno imparare la lingua italiana, iscrivere i figli a scuola, mettersi in regola col fisco e studiare la Costituzione. Invito quest'ultimo che potrebbe anche essere esteso ai cittadini italiani o agli stessi politici, che, in diverse circostanze, hanno dimostrato una totale ignoranza sul tema. Ma questo è superfluo, le elezioni regionali sono alle porte e bisogna dare agli italiani la sensazione che il governo, oltre ad occuparsi del processo breve o del legittimo impedimento, pensa a proteggere i cittadini.

“E' la legge sulla sicurezza – ha detto il ministro degli Interni, Roberto Maroni – che parla di specifici obiettivi da raggiungere nel giro di due anni. E saranno gli Sportelli unici per l'immigrazione a valutare l'immigrato. Se gli obiettivi sono stati raggiunti verrà concesso il permesso di soggiorno, altrimenti ci sarà l'espulsione”. Ma l'esecutivo è clemente e il nuovo decreto legge, che presto verrà discusso in Consiglio dei ministri, concede all'immigrato che nei due anni non avrà raggiunto tutte le competenze, la possibilità di una deroga di dodici mesi per ottenere il permesso. Se in tre anni non si totalizzano i trenta punti necessari, scatta l'espulsione. Attenzione, inoltre, al codice penale. La sua violazione comporta una perdita del punteggio. “Questo sistema – ha affermato sempre Maroni – serve a garantire l'integrazione: io ti suggerisco le cose da fare per integrarti nella comunità. Se lo fai ti do il permesso di restare, se non le fai significa che non vuoi integrarti. Lo applicheremo solo ai nuovi permessi con durata di due anni. Ma non chiederemo soldi agli immigrati per i corsi di lingua, faremo tutto noi, per garantire standard uniformi in tutte le province”.

Ecco, quindi, dopo i fatti di Rosarno, la risposta del governo al problema dell'immigrazione: il permesso di soggiorno a punti, una panacea per risolvere l'annoso problema dell'integrazione. Le critiche alla proposta governativa non si sono fatte attendere. Livia Turco, responsabile per l'Immigrazione del Pd, ha parlato di un provvedimento che favorirà l'irregolarità, non l'integrazione.

Benedetta Guerriero

6 febbraio 2010

Non in nostro nome QUALUNQUE GIUSTIFICAZIONE PER LA STRAGE DI GAZA


Gabriella Cappelletti per le Donne in Nero di Bologna


C'è ancora qualcuno che ha interesse a conoscere gli eventi, a guardare in faccia la verità?

Sembra di no, se ancora il “premier” italiano osa affermare che l' attacco a Gaza nel dicembre 2008 fu “una giusta difesa” del popolo israeliano mentre mostra senza imbarazzo il più grande disprezzo dell’ONU.

Allora consideriamo alcuni fatti: il 19 giugno 2008 fu firmata una tregua di 6 mesi fra Hamas e Israele che prevedeva la sospensione dei razzi Qassam su Sderot in cambio dell' apertura dei valichi di accesso alla striscia di Gaza per il passaggio di beni e persone. Ma l' apertura dei valichi avvenne solo parzialmente e a singhiozzo e ne fecero le spese soprattutto molti malati bloccati ai valichi e privi di cure.

Inoltre il 5 novembre l' aviazione israeliana compì un raid sulla striscia uccidendo 5 palestinesi. Puntualmente riprese il lancio dei missili. Il 19 dicembre Hamas dichiarò che non avrebbe rinnovato la tregua.

E' interessante sapere che già prima di firmare la tregua concordata il ministro della difesa Ehud Barak aveva dato ordini all' esercito di preparare l' offensiva...

E che nella stessa Sderot ben 500 israeliani del gruppo “Voci diverse” firmarono un appello per chiedere di fermare le operazioni nella striscia. Dunque una tregua violata dal governo, un massacro non voluto da tanti israeliani coinvolti in prima linea.

Questo smentisce l' affermazione che Tel Aviv esercita il diritto di difesa della sua popolazione: si è trattato di una aggressione sproporzionata, che ha causato tante sofferenze e la morte di centinaia di bambini, oltre a donne e civili, che è stata duramente condannata dall' ONU dopo una attenta indagine.

Più volte l' esercito israeliano ha rotto anche la tregua concordata nel gennaio 2009, sparando sui pescatori ecc. Questo la dice lunga sulle bugie del governo israeliano, infinite deformazioni della realtà, che discendono da quella prima bugia “fondante”: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

Ormai sembra passato nella testa di tanti, politici in primo luogo, che crimini, illegalità, disprezzo del diritto internazionale e di ogni diritto umano siano perfettamente legali e rientranti nel diritto alla difesa: l' illegalità diventata legale.

Questo è il punto che noi, amiche dei due popoli, non ci stancheremo di contrastare.


Bologna, 4 febbraio 2010