30 maggio 2009

Un documentario per riflettere : Il corpo delle donne


Cliccando sul titolo potrete vedere il documentario di 25 minuti "Il corpo delle donne".

27 maggio 2009

“Questo massacro offre al mondo uno sguardo sugli orrori che vive la nostra gente” di Malalai Joya



14 maggio 2009


Da parlamentare eletta nella provincia di Farah, Afghanistan, voglio dire la mia opinione, che si aggiunge alle voci di condanna ai bombardamenti della Nato avvenuti all’inizio di questo mese e che hanno causato 150 morti tra i civili nella mia provincia.

Come ho spiegato nella conferenza stampa dell’11 maggio a Kabul, le autorità militari statunitensi non vogliono aprire gli occhi su questa realtà. Come sempre, hanno cercato di minimizzare sul numero di vittime ma so che nei bombardamenti sono stati uccisi 164 civili. Durante la conferenza stampa, un uomo del villaggio di Geranai, distrutto dal dolore, ha spiegato di aver perso nel massacro 20 membri della sua famiglia.

Inoltre la commissione governativa afghana sembra aver sbagliato a compilare l’elenco dei bambini minori di tre anni che sarebbero rimasti vittime. I membri della commissione governativa che si sono recati al villaggio dopo tre giorni – quando tutte le vittime erano già state seppellite in una fossa comune dalle persone del villaggio – non ha intenzione di rendere pubblica la sua lista. Perché trattare con tanto disprezzo le preziose vite degli afghani?

La novità di questa settimana è che gli USA hanno sostituito il loro responsabile militare in Afghanistan, ma penso che questo sia solo un trucco per ingannare la nostra gente e addossare la responsabilità per la loro disastrosa strategia in Afghanistan sulle spalle di una sola persona.

L’ambasciatore USA in Afghanistan ha dichiarato in un’intervista ad Al Jazeera che se verranno offerte “sincere scuse” allora la “gente capirà” le ragioni di questi morti civili. Ma gli afghani non vogliono solo sentire “scuse”. Chiediamo la fine dell’occupazione del nostro paese e la fine di questi tragici crimini di guerra.

Le manifestazioni tenute dagli studenti e da altri cittadini contro questi ultimi bombardamenti, come la protesta di centinaia di donne tenutasi il mese scorso a Kabul, dimostrano al mondo la via per una vera democrazia in Afghanistan. A dispetto delle minacce e delle vessazioni, le donne sono scese in strada per chiedere la cancellazione della legge che legalizza lo stupro nel matrimonio e sancisce l’oppressione delle donne sciite del nostro paese. E questo dimostra che i bombardamenti aerei statunitensi e l’occupazione non hanno portato sicurezza né per gli afghani né per le donne afghane. La verità è infatti molto diversa.

Questa legge scellerata è solo la punta dell’iceberg della catastrofe riguardo ai diritti delle donne nel nostro paese occupato. L’intero sistema, e in particolare il sistema giudiziario, è contaminato dal virus del fondamentalismo; gli uomini che commettono un crimine ai danni delle donne non vengono puniti. Il tasso di sequestri, stupri collettivi e di violenza domestica è più alto che mai, e per questo è anche salito il numero di donne che si autoimmolano o che si suicidano in altro modo. La tragedia è che le donne prefriscono darsi fuoco piuttosto che resistere nell’inferno del nostro paese “liberato”.

La Costituzione afghana contiene diversi articoli che riguardano i diritti delle donne: io sono stata una delle molte delegate della Loya Jirga del 2003 che ha fatto in modo che venissero inclusi. Ma questo documento fondante del “nuovo Afghanistan” è stato sfregiato dalla pesante influenza dei fondamentalisti e dei signori della guerra, con i quali Karzai e l’Occidente si sono compromessi fin dal principio.

La nuova legge contro le donne non mi ha affatto sorpresa. Quando gli USA e i loro alleati hanno sostituito i taleban con i tristemente famosi signori della guerra e fondamentalisti dell’Alleanza del Nord era chiaro che l’unico cambiamento che avremmo visto sarebbe stato un passaggio dalla padella alla brace.

Negli ultimi anni sono state emesse diverse leggi e sentenze dei tribunali indegne. Un esempio è la disgustosa legge passata con il pretesto della “riconciliazione nazionale” che ha garantito immunità a famosi signori della guerra e criminali, molti dei quali siedono nel Parlamento afghano. A quel tempo, I media mondiali e il governo fecero finta di non vedere.

La mia opposizione a questa legge da deputata eletta nella provincia di Farah, è stata una della ragioni per cui sono stata espulsa dal Parlamento, nel maggio del 2007. Recentemente è stata emessa una scandalosa sentenza a 20 anni di prigione ai danni di Parvez Kambakhsh, un giovane la cui sola colpa è stata quella di distribuire tra i compagni di università un articolo “critico”.

Sappiamo che altre truppe USA e Nato stanno partendo per l’Afghanistan per far sì che le elezioni presidenziali si svolgano in sicurezza. A dire il vero, il popolo afghano non spera in queste elezioni, sappiamo che sotto le armi dei signori della Guerra, la mafia del narcotraffico e l’occupazione non ci sarà alcuna democrazia.

Con l’eccezione di Ramazan Bashardost la maggior parte dei candidati sono le note facce screditate che hanno fatto parte del governo mafioso di Hamid Karzai. Sappiamo che un burattino può essere sostituito con un altro burattino e che il vincitore di queste elezioni sarà certamente stato scelto dietro le porte della Casa Bianca e del Pentagono. Devo concludere che queste elezioni presidenziali saranno solo una farsa per legittimare il futuro burattino degli USA.

Come in Iraq, la guerra non ha portato liberazione all’Afghanistan. E la guerra è stata fatta per portare democrazia e giustizia o per sradicare i gruppi terroristi ma piuttosto per servire gli interessi strategici degli USA nella regione. Agli afghani non è mai piaciuto essere le pedine del “Grande Gioco” dell’impero, e questo lo hanno capito i britannici e i sovietici nel secolo scorso.

È vergognoso che la verità dell’Afghanistan sia stata nascosta dai media occidentali che hanno lavorato per guadagnare consenso alla “guerra buona”. Forse, se i cittadini nordamericani fossero stati informati sulla verità del mio paese, il Presidente Obama non si sarebbe azzardato a spedire altre truppe e a spendere i soldi dei contribuenti in una guerra che che sta solo facendo soffrire di più la nostra gente e spingendo la regione verso conflitti sempre più profondi.

Un incremento delle truppe in Afghanistan e i continui bombardamenti aerei non serviranno certo a liberare le donne afghane. L’unica cosa che succederà sarà un incremento delle vittime civili e un aumento della resistenza all’occupazione.

Per aiutare davvero le donne afghane, i cittadini statunitensi e di tutto il mondo dovrebbero chiedere ai loro governi di smettere di sostenere e coprire un regime di signori della guerra e di estremisti. Se questi criminali venissero finalmente processati, le donne e gli uomini afghani si dimostrerebbero capaci di fare da sé.

Malalai Joya è stata la più giovane parlamentare afghana, eletta nel 2005 quale rappresentante della provincia di Farah. Nel maggio 2007 è stata ingiustamente sospesa dal Parlamento.


26 maggio 2009

Una pace diffusa

Non voglio che la guerra
occupi territori anche mentali- quelli tuoi - quelli miei

dove i miei desideri
si avverano negli atti
fatti del mio respiro alimentati
dalle voglie e gli umori

Voglio che il giuoco e l’immaginazione
trovino spazio e luogo
in piena accettazione
del diverso e del nuovo

voglio nella mia casa – una pace diffusa
da abitare

anna zoli

20 maggio 2009

97 studentesse e insegnanti intossicate in Afghanistan


Nabela di 9 anni ricoverata il ospedale dopo essersi sentita male in una scuola di Kapisa (Photo: AP)

Dal sito di RAWA
Questo è il secondo attacco alle ragazze negli ultimi due giorni e il terzo nell’ultimo mese.
KABUL – “Circa 100 ragazze e insegnanti di una scuola della provincia di Kapisa, 80 km a nord della capitale Kabul sono svenute misteriosamente martedì” ha detto il ministro della Salute Pubblica Ahmad Farid Rahed .
"Un possibile attacco con gas velenosi ha colpito questa mattina la scuola femminile nel distretto di Kohistank in Qazak e ha intossicato 90 studentesse e 7 insegnanti" ha detto Rahed. "Le ragazze hanno accusato sonnolenza e vomitato" ha aggiunto. Rahed ha anche affermato che gli investigatori stanno lavorando per capire le cause del tragico accaduto.
Questo è il secondo attacco a studentesse negli ultimi due giorni e il terzo dal mese precedente.
Un attacco simile a una scuola per ragazze di Charikar, la capitale della provincia di Parwan, ha mandato in ospedale 52 studentesse mentre il precedente attacco del mese scorso ha coinvolto più di tre dozzine di alunne.
Nessuna organizzazione o individuo ha rivendicato la propria responsabilità fino ad oggi.
Xinhua, May 12, 2009

16 maggio 2009

San Suu Kyi in carcere, rischia altri 5 anni


Da Unità.it
Chiusa in una cella. A pochi giorni dalla scadenza degli arresti domiciliari Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana è stata rinchiusa nel famigerato carcere di Insein, a Rangoon. Suu Kyi è accusata di aver violato le condizioni degli arresti domiciliari, dopo la misteriosa intrusione nella sua casa-prigione di un cittadino americano, e rischia fino a 5 anni di detenzione. Incriminati anche due suoi domestici. Il processo si terrà lunedì prossimo.
John William Yeattaw, 53 anni, del Missouri, per gli avvocati di Suu Kyi non è che un «imbecille». L'ex moglie dell'uomo, un veterano del Vietnam, ha dichiarato che soffre di disturbi della personalità e a causa del suo stato di salute psichica riceve una pensione di invalidità dal Dipartimento per gli affari dei Veterani di guerra. L’uomo aveva attraversato a nuoto il lago che lambisce la villa dove la leader birmana ha trascorso agli arresti 13 degli ultimi 19 anni, riferendo poi di essersi trattenuto per due giorni nell’abitazione.
Premio Nobel per la pace, 63 anni, San Suu Kyi avrebbe dovuto essere rimessa in libertà il prossimo 27 maggio, alla scadenza del sesto anno consecutivo di reclusione in casa, dove per tutto questio tempo non ha potuto ricevere né telefonate né e-mail e dove anche la visita degli inviati Onu è stata severamente contingentata dalla giunta.
Le nuove incriminazioni sono evidentemente il pretesto cercato dai generali per prolungare ulteriormente gli arresti di Suu Kyi, la cui popolarità non è mai stata intaccata dalla detenzione: il prossimo anno sono previste elezioni generali, promesse dalla giunta ormai da qualche tempo nell’ambito della «road map verso la democrazia». Promesse a questo punto del tutto svuotate di contenuto, alla luce delle nuove incriminazioni contro Aung San Suu Kyi.
La leader dell’opposizione birmana, perseguitata dal suo ritorno in patria nell’88, stravinse le elezioni del 1990, poi annullate dalla giunta. Il clamoroso successo elettorale ha segnato la fine della libertà per Aung San Suu Kyi che è stata ripetutamente arrestata, incarcerata e nel 2003 posta agli arresti domiciliari per le cattive condizioni di salute, che anche in questi ultimi giorni hanno suscitato preoccupazione.
.......
Per il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, tutta la vicenda è un complotto. Cinque anni di carcere ad Insein, sostengono gli attivisti, equivalgono ad una condanna a morte.

14 maggio 2009

14 maggio 2009

Sostegno per la riapertura del centro antiviolenza per le donne dell'Aquila


Il Centro antiviolenza per le donne della provincia dell’Aquila è un progetto iniziato circa due anni fa dal gruppo donnEmanifestE, composto da moltissime realtà di donne del territorio, associazioni, gruppi, movimenti, tra cui anche le Donne in Nero dell’Aquila.
Il Centro per diventare operativo, si è appoggiato presso i locali del Consultorio AIED, che partecipa al progetto, così come l’associazione Biblioteca delle donne, anch’essa ospitata negli stessi locali situati nel centro storico dell’Aquila.
Il Centro antiviolenza conta su circa venti donne del gruppo donnEmanifestE, che hanno garantito alle donne che si sono rivolte al Centro: consulenza gratuita legale, psicologica e medica, avvalendosi della collaborazione di psicologhe, di ginecologhe e di un'avvocata, con la copertura iniziale di un primo finanziamento da parte della provincia dell’Aquila.
Al Centro, in due anni di attività si sono rivolte moltissime donne italiane e migranti, vittime di violenza maschile, soprattutto domestica. Dopo il terremoto la sede non è più agibile e tutte le donne del Centro vivono oggi la condizione di sfollate.
Nonostante questa difficilissima e dolorosa condizione, è convincimento di tutte le donnEmanifestE, l’urgenza di riaprire un luogo fisico per ridare visibilità al Centro antiviolenza, per riannodare i fili delle relazioni con le donne e per ricostruire un luogo di accoglienza e di scambio di vissuti per le donne, soprattutto in un momento come questo, nella morsa di una emergenza di vita, che spinge a chiudere in se stessi i nuclei familiari e rafforza i rapporti di potere tra uomini e donne al loro interno. A fronte dell’incertezza dei tempi della ricostruzione, dell’entità dei fondi e della loro destinazione, la necessità prioritaria per il Centro è di ricostruire da subito un luogo, anche provvisorio e precario, ma riconoscibile per le donne, per poter riprendere la propria pratica e non perdere l'esperienza maturata finora.
La condizione di grande difficoltà di tutte le donne che hanno dato vita al progetto del centro antiviolenza, ci impedisce di far fronte da sole alla ripresa dell’attività del Centro, e per questo avremmo bisogno di un sostegno concreto attraverso una campagna di solidarietà per il Centro antiviolenza dell’Aquila.
Per inviare contributi: c/c IBAN IT88S0501812100000000126343
tratto su Banca Popolare Etica intestato a:
Associazione Biblioteca delle Donne Melusine
Via delle Tre Spighe n°1, 67100 L'Aquila
Codice fiscale: 93005400663
Causale: emergenza terremoto Centro Antiviolenza.

Per info: Simona Giannangeli 335/8305681, Valentina Valleriani 328/2424103.

13 maggio 2009

Appello di Bilquis Tahira femminista e operatrice umanitaria pachistana


Foto tratta da Unità.it

Bilquis è sempre stata impegnata con il lavoro nelle carceri a favore delle donne arrestate per sharia'h. Ha lavorato moltissimo anche durante il terremoto che ha colpito Pakistan e Kashmir qualche anno fa.



Traduzione di Cristina Cattafesta- CISDA


"Questa volta vi scrivo perche in Pakistan stiamo affrontando una situazione di guerra. Il conflitto nel Nord del paese tra l'esercito e I Taliban ha raggiunto il colmo e l'esercito sta evacuando la popolazione civile di parte di Swat, prima di bombardarlo.
Nello stesso tempo i Taliban stanno cercando di limitare i movimenti dei civili e ci sono notizie che qualche strada è stata minata. Questa situazione sembra essere simile a quella dello Sri Lanka, con la differenza che qui si presenta in larga scala, tre o quattro volte più grande.
C'è stato un afflusso di 30.000 famiglie di profughi interni (IDP=Internal Displaced People) solo negli ultimi giorni da Dir e Buner a Peshawar e ci aspettiamo l'arrivo di 500.000 IDP nei prossimi giorni; molti stanno arrivando a Rawalpindi e Islamabad. Manca praticamente tutto: coperte,scarpe, vestiti. I bisogni delle donne (kit per l'igiene e simili) hanno ancora meno attenzione.
Quello che stiamo facendo (quattro volontarie ed io) è prendere contatti con i profughi a Islamabad e Rawalpindi, alcuni presso famiglie che li ospitano, altri presso case in affitto (circa otto persone in una stanza) e cercare di aiutare le donne nei loro bisogni più immediati.
Ci piacerebbe espandere le nostre attività e vi sto chiedendo di identificare qualunque organizzazione in Italia che può fornire soccorso e attività di riabilitazione particolarmente in ciò che concerne le necessità delle donne.
Fatemi sapere perché la situazione potrebbe diventare più drammatica, e nonostante gli sforzi dei donatori, ci sono persone che non ricevono alcuna attenzione, soprattutto i profughi a Islamabad e Rawalpindi.
Ho avuto incontri con le agenzie internazionali (Nazioni Unite, ONG) e vi allego del materiale informativo.
Bilquis Tahira

10 maggio 2009

Scegli di destinare il 5x1000 alle donne afgane attraverso il CISDA




COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGANE O.n.l.u.s.
CODICE FISCALE 97381410154

PROGETTI IN CORSO:

COMMISSIONE SULLA VERITA' E GIUSTIZIA
è un progetto finanziato dalla commissione Europea a ICS di Alessandria (istituto per la cooperazione) con partners CISDA e SAAJS (Social Association of Afghan Justice Seekers – associazione che raccoglie i familiari delle vittime e che organizza incontri e manifestazione a Kabul)
Per il momento il progetto prevede un percorso di training per le persone che dovranno raccogliere testimonianze e raccolta prove sui massacri perpetrati in afghanistan negli anni dal 92 al 96 dai signori della guerra. In seguito si potrà prevedere la costituzione di una commissione sulla verità e giustizia.

PROGETTO MAE, CENTRO CULTURALE DI HAWCA
Progetto finanziato dal nostro Ministero degli esteri per gli anni 2007 e 2008
Il centro, ubicato a Kabul, sta funzionando perfettamente con corsi di alfabetizzazione, di inglese e di informatica; corsi di formazione per dirigenti e operatori di Hawca; stanno costituendo un biblioteca che servirà in futuro anche per le università; da sostegno al Rifugio per le donne
maltrattate gestito sempre da HAWCA.
Il progetto è stato segnalato dal MAE “per buone pratiche” e sta diventando un progetto pilota anche per altre Ong presenti in Afghanistan. E' un progetto così riuscito che il ministero lo ha rifinanziato per un ulteriore anno.
Con questo nuovo finanziamento Hawca pensa di creare una stamperia, così da poter essere autonoma economicamente, ma che possa servire anche come scuola professionale.
http://www.afghanistanitw.org/


PROGETTI RICORRENTI per RAWA e OPAWC
sono progetti per cui ogni anno cerchiamo finanziamenti perchè RAWA e OPAWC li organizza costantemente e sono:
Corsi di alfabetizzazione --- corsi di computer --- corsi di inglese ---corsi di taglio e cucito ---


ORFANOTROFI di AFCECO
Ci sono 8 orfanotrofi, gestiti da AFCECO, sparsi nel paese. Sono case famiglia con una coppia di genitori che ospitano gli orfani per un totale di circa 500 tra ragazze e ragazzi.
Si possono fare adozioni a distanza al sito: http://www.afceco.org/


CAMPAGNA PER PARWEZ KAMBAKHSH
Abbiamo avviato una campagna per la liberazione di Parwez, il giovane giornalista condannato a 20 di carcere per aver difeso i diritti delle donne.
Oltre all’avvio della campagna il CISDA sta sostenendo anche le spese per l’avvocato.
Per saperne di più e per aderire alla campagna: http://www.isfreedom.org/freekambakhsh.htm


PROGETTI IN PREPARAZIONE:


CENTRO CULTURALE per OPAWC
Abbiamo elaborato un progetto con le stesse caratteristiche del centro culturale di Kabul ma che verrà gestito da OPAWC e che opererà nella città di HERAT.
Il progetto è già stato presentato al MAE (Ministero Affari
esteri)



CANALIZZAZIONE A FARAH
e' un progetto che servirà a finanziare la riparazione dei canali per l'irrigazione dei campi, canali che sono stati distrutti durante gli anni di guerre e che ancora oggi ne’ il governo centrale ne’ quello locale hanno pensato di riparare.
Il progetto è stato già approvato dal MAE (Ministero Affari Esteri)

CISDA Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afgane

Le donne di Gaza di fronte a un aumento della violenza sessuale



30/3/09, BBC

In mezzo alle macerie di Zeitun, nel nord di Gaza, si è riunito un gruppo di donne. Sono sedute nella polvere dove si trovava una delle loro case; il velo sulla testa, i bambini, a piedi nudi, che si arrampicano su di loro.
Questa non è una riunione normale di madri. E' stata organizzata dal Programma di Sanità mentale di Gaza, che cerca di aiutare le donne qui, dopo l'attacco militare israeliano, mentre loro si sforzano di educare i loro figli sotto il continuo assedio israeliano. Le donne parlano apertamente delle miserie che subiscono - senza casa, la morte di persone care, di cui amano mostrare le foto, i traumi dei figli dopo gli orrori che hanno visto. Eman, vittima di violenza domestica dice che suo marito la afferra per i capelli prima di picchiarla.
Ma molto più difficile è discutere con loro, dicono gli operatori della sanità, del numero crescente di violenze domestiche che le donne subiscono in casa.
Il Fondo di sviluppo per le donne dell'ONU dice che è evidente che la violenza domestica - verbale, fisica, sessuale e psicologica - è aumentata notevolmente dopo la sanguinosa operazione israeliana a Gaza e in generale dopo che Hamas ha preso il controllo della striscia,ormai da due anni. Dopo che Israele e l'Egitto hanno praticamente chiuso le loro frontiere con Gaza, limitando considerevolmente le forniture e in modo spettacolare la libertà di circolazione, Israele ha lanciato un certo numero di campagne militari punitive.
Qui delle ONG tentano ora di trovare degli strumenti per impedire agli uomini di sfogare le loro frustrazioni sulla loro famiglia.
Una società conservatrice
Camminando a Beit Lahia, straziata dalla guerra, nel nord di Gaza, abbiamo incontrato 3 generazioni di donne della famiglia al-Atar. Insharar è una di 5 sorelle. Ci racconta che suo marito ha perduto tutto, lavoro e casa; difficilmente riusciva a parlare con qualcuno e si vendicava per la sua frustrazione su lei e i figli. «Ma noi lo perdoniamo. Sappiamo cos'è accaduto qui e cosa sopporta».
Gaza è conservatrice, dominata dagli uomini, una società basata su clan. Ma delle ONG cominciano a introdurre dei programmi di coscientizzazione della violenza, comprese sessioni speciali per gli uomini.
Abu Fahdi, è un ex violento, ora consigliere. Mi ha raccontato: «Per noi la guerra comincia davvero quando finisce. Qui a Gaza gli uomini devono provvedere alle famiglieŠL'assedio, i bombardamenti aerei, in un modo o nell'altro, colpiscono tutte le famiglie di Gaza - povertà, fame, senza tettoŠGli uomini sono davvero frustrati e a volte si rifanno contro le loro donne che sono di fronte a loro ogni giorno». Ma a Gaza, come in molte società orientali, le donne non possono fuggire da nessuna parte. Non ci sono rifugi qui. Solo delle cliniche dove le donne possono trovare conforto, un consiglio o un anti-depressivo - e quasi sempre all'insaputa del marito.
La psichiatra Suha Muusa, Gaza
La psichiatra Suha Muusa dice che è difficile per le donne di Gaza lasciare degli uomini violenti. Chi vuole aiutare donne violentate deve lavorare tenendo conto degli obblighi sociali. E' difficile intervenire nella vita familiare delle persone, spiegando che, se un uomo vuol divorziare da sua moglie o se lei lo lascia e torna nella casa di suo padre, lei potrebbe perdere tutti i contatti con i suoi figli.
«Afferrata per i capelli»
E' per questo, mi ha raccontato Eman, che lei resta con il suo marito violento. L'ha talmente picchiata che ha problemi agli occhi, ai denti e alla spalla. Dice che lui la afferra per i suoi lunghi capelli e la trascina in giro prima di picchiarla. E' violento con i suoi 3 figli di 5 e 3 anni e 9 mesi. Il bebé Ahmad dorme in braccio alla mamma mentre noi parliamo in una cameretta della clinica femminile. Per Eman, la recente aggressione israeliana è stata un sollievo. Suo marito diventa violento quando perde il lavoro. Durante le 3 settimane dell'attacco israeliano lei ha cercato rifugio con i suoi 3 figli nelle scuole dell'ONU. Suo marito è rimasto a casa. Lei ha detto che i bambini volevano restare all'ONU anche dopo la fine dei bombardamenti. Avevano da mangiare, il che a casa non accadeva sempre, mi ha raccontato, ed erano lontani dal loro padre violento.
Naima al-Rawagh è la direttrice del Programma di sanità mentale di Gaza e non ha peli sulla lingua. Dice che l'unico modo di combattere la violenza domestica è l'educazione. La sua clinica offre conferenze (separate) per giovani uomini e donne non sposati. La sua psicologa e la sua psichiatra percorrono Gaza tentando di informare le donne sui loro diritti. Molte sono semplicemente ignoranti. Naima ci ha anche raccontato quanto sia importante lavorare con i capi clan a Gaza. Sono loro che possono davvero cambiare i comportamenti. Quando le ho chiesto quanto fossero aperti al messaggio della sua clinica, lei ha sorriso. «Alcuni lo sono, altri ci voltano le spalle» dice. Non sradicheremo mai completamente la violenza domestica, ma possiamo progredire».
Politicamente Gaza è guidata da Hamas, islamista. I poliziotti sono di Hamas, i giudici sono di Hamas, i politici sono di Hamas. Il movimento fa qualcosa per combattere la violenza contro le donne?
Uccisa a pugnalate
Jamila al-Shanti è una delle 3 donne membre del Parlamento a Gaza. L'ho incontrata a un raduno di Hamas per commemorare un dirigente del gruppi, Nizar Rayyan, ucciso durante un attacco aereo israeliano. Era seduta nella tenda delle donne. «Molta gente pensa che l'Islam imponga alle donne l'inferiorità. Ma non è l'Islam, è l'errore di cattive tradizioni e cattive abitudini. Dalla nascita, l'arrivi di un maschietto è festeggiato, quello di una bimba è accettato. Il movimento di Hamas tenta di cambiare le cose. Abbiamo donne ovunque -nei ministeri, nell'educazione, negli ospedali. Le donne devono affrontare problemi, non solo nel mondo musulmano ma ovunque nel mondo. So cosa accade in Europa, in America. Non vedo un solo luogo dove le donne abbiano tutti i loro diritti. Non li hanno qui a Gaza. Ma si tenta. Noi lottiamo».
Tornando tra le macerie del nord di Gaza, è chiaro che non ci sono grandi cose che le persone normali possano fare qui per fermare l'assedio o gli attacchi di Israele, o i missili di Hamas, ma c'è un tentativo lento costante per cambiare gli atteggiamenti verso le donne. E' una necessità urgente. Il giorno in cui siamo arrivati a Gaza, una giovane madre è stata pugnalata a morte da membri del clan che avevano litigato con suo marito. I gruppi dei diritti umani ritiene che la legge a Gaza tratti questi casi con troppa indulgenza. Li si considera generalmente come questioni di famiglia.

5 maggio 2009

Due studentesse afghane ospiti delle Donne in Nero di Bologna



Huma e Salima, due ragazze afghane che studiano all'Università di Perugia, saranno a Bologna il 5 e 6 maggio per portarci la loro esperienza e raccontarci le condizioni di vita delle donne in Afghanistan.
Nel pomeriggio di martedì 5 alle ore 16 parteciperanno, presso l'aula autogestita di Scienze Politiche, a un' assemblea con studenti e studentesse universitarie organizzata dal Collettivo Figlie Femmine.
Il 6 maggio incontreranno studenti e studentesse dell'ITC Salvemini di Casalecchio di Reno.



Donne iraniane e afghane: sorelle nella lotta contro l'estremismo religioso



Associazioni di donne iraniane in sostegno delle donne d'Afghanistan contro la nuova legge sulla famiglia

Noi, attiviste del movimento delle donne iraniane, abbiamo cercato di seguire regolarmente e responsabilmente le attività, i successi e i fallimenti delle donne in quest’area. Proprio perché crediamo che ogni successo e ogni fallimento delle donne, specialmente nella nostra regione, possano avere effetti anche sulle donne iraniane e sulla nostra società. Sappiamo per esperienza di essere capaci di modulare le nostre azioni per ottenere uguali diritti, imparando le une dalle altre. Non appena abbiamo saputo che una nuova legge, chiamata “Legge sulla Famiglia” è stata approvata in Afghanistan, abbiamo deciso di unirci alla vostra causa e lottare contro questa legge sessista.

Inoltre, la campagna “One Million Signature” (“Un Milione di Firme”) - http://www.campaignforequality.info/english/ -, una rete di attiviste decise a cambiare le discriminatorie leggi contro le donne e le ragazze in Iran, hanno inserito un articolo nel sito ufficiale della Campagna intitolato “l’Uguaglianza è un nostro diritto, rapporto dalla Manifestazione delle Donne” (http://www.we-change.org/spip.php?article3986).

Questa è la prima reazione organizzata delle Donne Afghane e un segno di speranza per il movimento delle donne afghane. Non è tanto che il movimento delle donne iraniane ha costituito con successo una coalizione contro la Legge sulla Famiglia che ha rimosso le restrizioni alla poligamia. La voce collettiva delle donne iraniane che ha detto NO ALLA POLIGAMIA (http://womennewsnetwork.net/2008/09/23/iran-women-say-no-to-polygamy/) ha costretto il governo a fare un passo indietro e a rivedere la legge. Ma certamente ogni vittoria a breve termine in Iran e in Afghanistan non possono mai considerarsi scontate. Le forze patriarcali e il potere politico – che non si fanno scrupoli a fare compromessi sui diritti delle donne e sulla loro dignità per perseguire la loro agenda politica – sono dietro a questa legge e cercano sempre nuove opportunità e scappatoie per incrementare questo tipo di leggi oppure – davanti a una resistenza locale o globale – a fare un passo indietro.

Per fermare la brutale pratica della lapidazione in Iran, le donne iraniane hanno avuto l’esperienza di “Una rara vittoria per i Diritti delle Donne in Iran” (http://www.opendemocracy.net/article/5050/iran_stop_stoning_now).

Una delle lezioni che abbiamo imparato dall’incontro e dalla lotta delle attiviste per i Diritti delle Donne in Iran e in Afghanistan, è che la resistenza locale e l’opposizione con un supporto globale possono fermare il loro assalto.

Nell’era della tecnologia dell’informazione e con l’emergere di nuovi mezzi tecnologici, queste regressive, obsolete e fanatiche leggi NON possono passare inosservate.

Nonostante tutte le atrocità, la guerra e il terrore inflitti nel nostro mondo da rappresentanti dello stato e non, l’attenzione della comunità globale circa i diritti e la dignità delle persone e delle comunità è una forza collettiva e transnazionale, una rete CHE NON PUO’ ESSERE IGNORATA A LUNGO.

- Nonostante il fatto che le 300 donne che hanno protestato a Kabul abbiamo dovuto fare i conti con contro-manifestanti che hanno tirato pietre e le hanno chiamate “cani”

- nonostante il fatto che le donne iraniane che chiedono di modificare le leggi discriminatorie in Iran vengano arrestate e detenute

- nonostante il fatto che i loro siti vengano oscurati, i loro giornali vengano chiusi e la loro sicurezza sia fragile

i movimenti per i diritti e la dignita, per l’equità e l’uguaglianza, stanno procedendo e ottenendo maggiore forza.