29 settembre 2009

Beato il mondo quando non avrà più bisogno di eroi



Di Simonetta Salacone

Lettera aperta della dirigente scolastica della scuola Iqbal Masih di Roma; questa lettera aperta è stata affissa ai cancelli delle scuole del circolo didattico 126° ed è stata inviata a giornali e agenzie di stampa.
A tutti quelli che vorranno leggermi.
In relazione alla vicenda che, mio malgrado, ha riportato me e la scuola che dirigo sui mass media ho da dire quanto segue: per carattere, formazione e professionalita´ non uso mai l´enfasi, la retorica, i toni stentorei, ma la riflessione articolata, anche fortemente critica, ma espressa con registri bassi e moderati; di ogni decisione che mi compete prendo la diretta responsabilita´. In questo caso di non aver inoltrato ai/alle docenti la circolare del ministro Gelmini, arrivata a scuola alle ore 11,30 del giorno 21/9 con la quale si invitava ad osservare un minuto di silenzio alle ore 12 dello stesso giorno per i 6 morti in missione di pace e ad attuare una "riflessione solidale" con gli alunni.
I tempi stretti con cui la circolare arrivava impedivano, di fatto, una riflessione con le/gli insegnanti come era, invece, avvenuto in altre situazioni simili. Poiche´ la scuola non e´ una caserma e i/le docenti non ricevono ordini, molte insegnanti, soprattutto dei piu´ grandi, hanno affrontato l´argomento in classe, con diverse modalita´ e ritualita´.
Sulle modalita´ pedagogiche con le quali la scuola gestisce l´informazione sui sempre piu´ frequenti eventi drammatici nazionali e mondiali che e´ chiamata ad affrontare, ho convocato tempestivamente un collegio dei docenti, per favorire riflessione e confronto, nei primi giorni del mese di ottobre. Il presidente del consiglio di circolo ha convocato sulla stessa tematica una riunione aperta ai genitori, per il giorno 30 settembre.
In molte scuole del paese la circolare del ministro non e´ arrivata. Molte scuole hanno accolto l´invito ad osservare il minuto di silenzio, molte no. La stampa e la tv, pero´, non hanno effettuato consultazioni e ricerche nel merito, quindi non si ha il polso complessivo della situazione.
Provo dolore e sincera partecipazione al dolore delle famiglie dei soldati morti. Lo aggiungo al dolore che quotidianamente provo per le tantissime vittime civili innocenti di questa e di tutte le guerre che si stanno svolgendo in giro per il mondo.
Mi chiedo pero´ : perche´ non abbiamo fatto un minuto di silenzio il mese scorso, quando e´ morto in un attentato in Afghanistan un soldato di Campobasso?
E´ il numero che fa massa critica per il cordoglio di stato? O non e´ il momento in cui, facendo appello al dolore di tanti, si tenta di ricompattare una opinione pubblica molto divisa sui temi della cosiddetta "missione di pace"?
Mi auguro che, a partire dalla polemica che ho involontariamente aperto, in molti istituti si apra il dibattito su cosa effettivamente possa e debba fare la scuola sui temi delicati dell´attualita´, per non essere tacciata ne´ di conformismo e obbediente acquiscienza, ne´ di uso ideologico dei fatti.
Nessuno ha la verita´ in mano. Casomai abbiamo la Carta costituzionale che all´articolo 11 afferma che "l´italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie".
Quella in Afghanistan e´ sempre piu´ una guerra che uccide civili e militari, che acuisce l´estremismo, che fa regredire la democrazia e la solidarieta´ sociale, che copre la corruzione di parte della classe dirigente, che alimenta l´odio della popolazione contro l´occidente...
La situazione e´ cosi´ complessa che, trasversalmente alle parti politiche, nel nostro paese e in tutto l´occidente ci si interroga con preoccupazione su come uscirne e su come rilanciare nell´Afghanistan e in tutto quello scacchiere orientale (Iran, Pakistan, Irak) un processo di pacificazione, compromesso in passato dall´idea malsana che si possa esportare la democrazia con le armi.
Personalmente, venendo da una militanza giovanile in un movimento nonviolento, continuo a ritenere che le azioni di pace siano costruire scuole, ospedali, biblioteche, teatri, centri culturali.... La nostra scuola, da quando e´ stata intitolata ad Iqbal Masih, bambino pakistano ucciso dalla mafia dei tappeti, ha adottato da anni una scuola per bambini di caste basse in Pakistan e ne finanzia la frequenza.
Sul muro di ingresso del nostro plesso centrale sono riportate le parole del piccolo Iqbal : " i bambini hanno bisogno di avere in mano quaderni e matite, non attrezzi da lavoro.." Aggiungo di mio "i bambini hanno bisogno di pace per crescere. non possiamo continuare a dissipare risorse nelle guerre. Le guerre si prevengono e si risolvono con azioni di pace (anche rischiose, pericolose, eroiche, quali sono quelle che quotidianamente tanti volontari, giornalisti, missionari, dottori, maestri, sindacalisti ...compiono, mettendo a rischio la vita)" Parafrasando Brecht aggiungo "Beato il mondo quando non avra´ piu´ bisogno di eroi". Questa ripropongo oggi come filosofia al mondo della scuola, alle insegnanti e agli insegnanti, ai genitori e a tutti noi che abbiamo a cuore il futuro del mondo

Festa dell'Unità sponsorizzata da fabbrica di armi

Bersani (PD): "Essere pacifisti non significa mica essere disarmati"


La Festa dell'Unità di Alessandria sponsorizzata da una fabbrica di armi
Riportiamo uno spezzone di intervista a Pierluigi Bersani che tenta di giustificare la sponsorizzazione della Oto Melara (Finmeccanica) alla Festa dell´Unità in cui interviene come oratore.
1 settembre 2009 - Alessandro Marescotti

Guardando il volantino di questa Festa dell´Unità abbiamo trovato la pubblicità di una ditta che produce armi.

Crede che questo possaessere coerente con i valori di un partito come il PD?


Essere pacifisti non significa mica essere disarmati. In Italiaabbiamo anche fabbriche d´armi; alcune sono secolari. Non c´è nessuna polizia disarmata nel mondo. Nel nostro Paese ci sono anche tecnologie che sono al servizio di armamenti che devono servire alla sicurezza collettiva. Detto questo, io credo che la spinta verso le tecnologie possa essere maggiormente orientata nei settori civili. Io ho in testa che nei prossimi cinque - dieci anni dovremo buttare tutta la nostra innovazione sui temi dell´economia verde, che mi pare la vera nuova grande frontiera tecnologica.

Quindi pensa che la pubblicità di un cannone, come in questo caso, possa avere un senso?

Insomma, esiste un esercito, no? Non è che possiamo abolire l´esercito credo, purtroppo, per adesso.

Festa dell'Unità ad Alessandria - all' ex GIL : dal 27 agosto al 6 settembre 2009

18 settembre 2009

L’Italia finanzia le violenze contro le donne migranti : presidio a Bologna

Mercoledì 23 Settembre dalle ore 18

PRESIDIO

Piazza Nettuno, Bologna

Sono tante le testimonianze dei soprusi e delle torture subiti dalle persone detenute nei centri di concentramento libici, ma per le donne, oltre alle torture, il trattamento prevede violenze sessuali e stupri di gruppo! L’Italia, finanziando la polizia e le carceri libiche e respingendo donne e uomini verso la Libia, è complice di queste atroci violenze.

Dalla frontiera meridionale libica ogni anno entrano migliaia di migranti e rifugiati sprovvisti di documenti, alcuni dei quali poi continuano il viaggio verso l’Italia. Anche se uomini e donne africani che arrivano via mare rappresentano una minima parte dei migranti senza documenti presenti in Italia, il governo italiano ha concentrato attenzione e risorse sugli sbarchi, poiché essi rappresentano il simbolo della prospettiva emergenziale costruita da anni sul tema dell’immigrazione: sul regime di paura alimentato dalla menzogna dell’”invasione” si gioca la propaganda razzista e criminalizzante del governo, ormai istituzionalizzata nel pacchetto sicurezza.
In base agli accordi tra il governo italiano e il governo libico e alle nuove politiche migratorie inaugurate dall’Italia, le donne e gli uomini provenienti dalla Libia, anche se quasi mai di nazionalità libica, vengono “respinti” senza avere la possibilità di arrivare in Italia e di presentare richiesta di diritto d’asilo, di cui la maggior parte di loro è a tutti gli effetti titolare. Da quando sono cominciati i respingimenti in mare sono stati finora oltre 1.200 le persone che le autorità italiane hanno riconsegnato alla Libia. Durante la detenzione nelle carceri libiche, uomini e donne subiscono violenze inaudite e vere e proprie torture, “Abusi, vessazioni, maltrattamenti, arresti arbitrari, detenzioni senza processo in condizioni degradanti, torture, violenze fisiche e sessuali, rimpatri di rifugiati e deportazioni in pieno deserto. Crimini che l’Unione europea finge di non vedere…” queste le amare conclusioni di un rapporto curato da Fortress Europe nel 2007.
Le donne in particolare subiscono, oltre alle violenze fisiche e psicologiche, stupri ripetuti e collettivi. In seguito alle violenze sessuali, molte di loro rimangono incinte e sono costrette a ricorrere ad aborti clandestini, che spesso le uccidono.

E non è che le cose in “patria” vadano meglio: nei CPT (oggi CIE) viene applicato lo stesso progetto repressivo e violento. Ne è una prova la protesta al CIE di via Corelli a Milano, soffocata dalla violenza delle Forze dell’Ordine. I processi si svolgeranno il 21 e il 23 settembre e vedono implicato anche l’ispettore capo di servizio al centro, accusato da una partecipante alla protesta di tentata violenza sessuale.
Paradossalmente tutto questo viene fatto al fine di garantire la “sicurezza “ dei cittadini e delle cittadine italiane e anche in nome della violenza contro le donne. La ministra Carfagna ha sostenuto, nell’incontro con Gheddafi dello scorso giugno, di voler aiutare le donne africane, e ha presieduto in questi giorni un G8 contro la violenza alle donne escludendo i centri antiviolenza. Di fatto però l’Italia finanzia attivamente le violenze contro donne e uomini migranti con importanti stanziamenti finanziari e di mezzi alla Libia. Del corpo delle donne viene sempre fatto un uso strumentale, viene data risonanza mediatica solo agli stupri di stranieri su donne italiane, quando le violenze commesse da uomini migranti costituisce solo una minima parte delle violenze agite sulle donne nel nostro paese. La maggior parte della violenza avviene all’interno della famiglia cosiddetta “normale”, promossa e protetta e al centro di tutte le politiche sociali.

A proposito dell’uccisione di Sanaa - Comunicato delle Donne in Nero di Bologna


L’uccisione di Sanaa da parte del padre è prima di tutto un fatto gravissimo che ci colpisce tutte, native e migranti.
Ancora una volta una donna paga il proprio diritto a scegliere sulla propria vita, così come pagano tutte le donne che vogliono porsi al di fuori delle regole della cultura patriarcale.
Non si tratta di una questione religiosa ma di tradizioni e di culture che giustificano la punizione delle donne in quanto il loro corpo è il depositario dell’identità, dell’onore della famiglia e della comunità. Tutto questo naturalmente accentuato dall’inevitabile conflitto generazionale.
Non dimentichiamo che la legge italiana sul delitto d’onore è stata eliminata solo nel 1981, quando già in Italia avevamo conquistato diritti molto avanzati (divorzio, aborto,consultori, addirittura il nuovo diritto di famiglia che stabilisce la parità tra donne e uomini, pari opportunità, ecc.), mancava solo quella legge a riprova non di una distrazione, ma di una tradizione e dei costumi molto resistenti in alcune zone del Paese, dove le donne erano costrette a sposare il proprio stupratore per risarcire l’onore del padre e della famiglia , finché una donna coraggiosa, Franca Viola, pose in discussione l’usanza e la rifiutò cambiando il corso della storia.
Crediamo che sia necessario continuare a lottare ogni giorno contro queste tradizioni patriarcali e nello stesso tempo contro il razzismo che si nasconde dietro l’idea di presidi contro il burqa da parte di gruppi di orientamento fascista e dietro le dichiarazioni della ministra per le Pari Opportunità anche se manifesta l’intenzione da parte del Governo di costituirsi parte civile.
Nello stesso momento in cui “si strappano le vesti” per questo delitto, dopo aver approvato una legge crudele sulla migrazione, finanziano un accordo con la Libia di Gheddafi che si ripercuote dolorosamente sui corpi e sulla vita delle donne migranti che nei campi di concentramento libici subiscono ogni sorta di violenza o trovano la morte in mare insieme ai loro compagni di sventura.
E’ quindi necessario stabilire relazioni sempre più intense e diffuse che ci permettano di confrontarci sulle nostre realtà e su come la convivenza possa essere positiva sia per le migranti che per la native.
Le donne agiscono con pratiche politiche diverse da quelle degli uomini ma contribuiscono più di loro alla costruzione di società e civiltà attraverso una politica delle relazioni che unisce invece di dividere, senza per questo oscurare le diversità, ma piuttosto facendone tesoro.
Un primo momento d’incontro sarà comunque mercoledì 23 settembre in piazza Nettuno alle ore 17 per la manifestazione contro i respingimenti promossa da Altra Città a cui abbiamo aderito come Donne in Nero

9 settembre 2009

Afghanistan, Agnoletto: "Decine di civili ammazzati e nessuno s'indigna"

FOTO BBC



*DA DISPENSATORI DI DEMOCRAZIA SIAMO DIVENTATI CORRESPONSABILI DI AZIONI CRIMINALI»*
Milano, 4 settembre 2009 - «Ufficialmente i nostri soldati sono in Afghanistan con la Nato per diffondere la democrazia, nei fatti ogni giorno che passa aumentano i morti innocenti, vittime del fuoco occidentale. Ormai siamo corresponsabili di veri e propri omicidi. E chi uccide un innocente è un assassino, come tale deve essere trattato e non celebrato come un eroe.
I mandanti di queste stragi dovrebbero essere processati da tribunali internazionali e non restare inpunemente ai loro posti di comando politico e militare.
Oltretutto, azioni simili aumentano l'opposizione della popolazione locale alla Nato e fanno crescere l'appoggio verso i talebani. Quanti altri morti civili ci vorranno prima che l’Italia decida definitivamente di ritirare le proprie truppe dall’Afghanistan? E perché la vita di un soldato occidentale vale sempre più di quella di un “normale” cittadino afghano?

Rilanciamo la campagna per il ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan: è necessario organizzare in tempi brevi una mobilitazione nazionale».

Così VittorioAgnoletto, ex eurodeputato Sinistra europea, commenta l’attacco aereo della
Nato che avrebbe provocato decine di vittime civili nel nord dell’Afghanistan. «Se un militare europeo si ferisce l’opinione pubblica si ricorda per un momento di quanto accade a Kabul, mentre bambini, donne e anziani uccisi “per sbaglio” dai militari della missione Nato non interessano ormai più a nessuno. Il governo italiano parla tutti i giorni di rispetto della vita umana e poi celebra con orgoglio la partecpazione a missioni omicide».
Vittorio Agnoletto, ex eurodeputato Sinistra europea,
www.vittorioagnoletto.it

Un'altra buona notizia : niente frustate per Lubna per aver indossato i jeans

Sudan, la vittoria di Lubna: niente frustate

UNA multa di 500 sterline sudanesi, circa 140 euro: in molti ieri mattina avevano salutato come una vittoria il verdetto salomonico con cui la giustizia sudanese sperava di togliersi dall' imbarazzo condannando sì la giornalista che il 3 luglio aveva osato indossare un "indecente" paio di pantaloni a Khartum, ma risparmiandole le frustate previste dal controverso articolo 152 del Codice penale. Lubna Ahmed Hussein no: per lei, che era «pronta a subire anche più di 40 frustate» purché tutti sapessero quel che succede in Sudan, «l' incostituzionalità» e indecenza, questa sì, di un sistema che priva le donne della libertà d' indossare quel che vogliono restava. E per denunciarlo s' è rifiutata di pagare la multa pur consapevole di andare incontro a un mese di carcere. I giudici di Khartum, che speravano di appigliarsi all' immunità diplomatica di cui Lubna godeva in quanto impiegata dell' Onu, il 4 agosto si erano presi un mese in più di tempo una volta che la Hussein s' era dimessa dal suo incarico presso l' Unmis. L' imbarazzo era evidente. Da quando nel 1991 la giunta militare guidata dall' attuale presidente Omar al-Bashir aveva introdotto la legge islamica, sharia, nel Nord Sudan, almeno 20mila donne erano state arrestate e frustate in base all' articolo 152 che, spiegava la stessa Hussein a Repubblica alla vigilia dell' ultima udienza, «vieta d' indossare abiti che causino pubblico imbarazzo senza però specificare quali». Poiché, aggiungeva Lubna, «nessuno in Sudan crederebbe che un paio di pantaloni possa costituire una violazione, molte donne, una volta arrestate, si sono sottoposte alla condanna senza obiettare né poi dire nulla ai familiari perché non sarebbero state credute. Tutti, a partire dai loro mariti, genitori o fratelli, avrebbero sospettato che avessero commesso adulterio o un reato più grave per essere state condannate a una pena così severa». È per questo che migliaia di arresti effettuati col pretesto dell' articolo 152 dal 1991 a oggi erano passati sotto silenzio. Ogni giorno venivano arrestate e frustate donne per il loro modo di vestire. Nessuna di loro ne parlava e nessuno veniva a saperlo. Finché a parlarne non è stata Lubna, che del resto non aveva mai risparmiato critiche al regime sudanese dalle colonne del giornale Al Sahafa. Il 3 luglio con lei erano state arrestate altre 12 donne perché indossavano un paio di pantaloni. In dieci si erano dichiarate colpevoli e due giorni dopo avevano subito 10 frustrate e pagato una multa di circa 70 euro. Lubna no. S' era rifiutata di dichiararsi colpevole e aveva rivendicato il suo diritto a essere assistita da un avvocato. Come lei, altre due donne. Lubna però era andata oltre, invitando giornalisti e funzionari internazionali ad assistere all' udienza. «Volevo che tutti sapessero che in Sudan può accadere anche questo, essere frustrate per un paio di pantaloni».E c' è riuscita. Ieri ad aspettarla alle porte del tribunale e a salutarla prima che venisse trasferita nel carcere femminile di Omdurman c' erano centinaia di donne sudanesi, tutte in pantaloni, incuranti dei manifestanti musulmani che le chiamavano «prostitute» e pure della polizia che, intervenuta per disperderle, ne ha arrestate 48 prima di rilasciarle. «È stata Lubna - ha detto una di loro - a darci coraggio». - ROSALBA CASTELLETTI

7 settembre 2009

Un'ottima notizia: Sayed Perwiz Kambakhsh è libero!


Sayed Perwiz Kambakhsh, segretamente graziato da Karzai, è libero e ha lasciato l'Afghanistan (dal sito di Repubblica)

E' stato liberato e ha lasciato l'Afghanistan il giovane giornalista afgano Sayed Pervez Kambaksh, condannato a morte per "blasfemia". In realtà la sua "colpa" era unicamente quella di essersi occupato dei diritti delle donne. La notizia del rilascio è stata data dal quotidiano britannico The Independent sul suo sito online con la precisazione che il giornalista è stato "segretamente graziato dal presidente Hamid Karzai". Ed è stata poi confermata sia dal fratello che dal legale del reporter."Posso confermare la grazia e il rilascio che risale a due settimana fa - dice l'avvocato Afzal Nooristani - ma non posso confermare che sia fuori dal Paese per problemi di riservatezza".

Secondo l'Independent, giornale in prima fila nella campagna internazionale per salvare il giornalista, "Kambaksh è stato trasferito dalla sua cella nel carcere principale di Kabul un paio di settimane fa e custodito in un luogo sicuro per alcuni giorni prima di lasciare il Paese in aereo. Prima di partire ha parlato di come il suo sollievo sia misto a profonda tristezza sapendo che sarà
altamente improbabile che riveda mai più la sua famiglia e il suo Paese".

La vicenda di Kambaksh aveva fatto scalpore. Il 24enne era stato condannato a morte con un processo-lampo per aver scaricato da un sito iraniano materiale informativo sui diritti delle donne e l'Islam. Una condanna che poi venne convertita in 20 anni di detenzione tra le
proteste degli islamici più intransigenti, fra cui anche alcuni politici vicini a Karzai, che ne chiedevano l'esecuzione immediata.
In tema di diritti umani, oggi Karzai ha firmato una legge per scoraggiare le violenze di ogni natura contro le donne afgane. Il testo, composto da quattro capitoli e 44 articoli, è una mossa in
controtendenza rispetto al passato. Nei mesi scorsi, infatti, aveva suscitato molte critiche nell'opinione pubblica internazionale un provvedimento, firmato dal presidente, che di fatto legalizzava lo stupro della moglie da parte del marito e proibiva alle donne sposate di uscire di casa senza il permesso del coniuge, anche per andare dal medico. Una legge che aveva provocato dure proteste internazionali e che alla fine era stata ritirata.
(7 settembre 2009)

4 settembre 2009

Lettera della Commissione Internazionale di Donne (IWC) ad Hanan Ashrawi prima donna eletta Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP


Dott.ssa. Hanan Ashrawi

Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP

Ramallah, Palestina


Cara Hanan,

a nome di tutte le componenti della Commissione Internazionale di Donne (IWC) per una pace giusta e sostenibile in Palestina e Israele, vogliamo porgere le nostre più sentite congratulazioni per la tua elezione al Comitato Esecutivo dell'OLP. In quanto autorevole componente all’interno della IWC, la tua vittoria è anche la nostra.

La tua elezione come prima donna nella storia dell’OLP ad essere votata dal Consiglio Nazionale Palestinese nell’ambito dell’organo decisionale più importante dell’OLP è prima di tutto la testimonianza del tuo personale risultato in qualità di formidabile leader palestinese.

Tuttavia, tale risultato è anche motivo di festa per tutte le donne leader che continuano a lottare contro la loro esclusione dalle principali arene politico-decisionali, comprese quelle relative alle decisioni di peace making e peace building. Per le donne palestinesi, israeliane e internazionali della IWC, unite nella loro causa per porre fine all'occupazione all’insegna del raggiungimento di una pace giusta e durevole per Israele e Palestina, la tua elezione segna indubbiamente una svolta.

Il sostegno ricevuto per la tua elezione dalle donne palestinesi di ogni ambito, testimonia il potere che la solidarietà delle donne può svolgere nel tradurre in realtà lo spirito della risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su donne, pace e sicurezza, fonte d'ispirazione per le donne di tutto il mondo.


Come sai, nel mese di agosto l'IWC si è riunita per tre giorni al fine di rivalutare i propri obiettivi alla luce della mutata situazione politica dopo la guerra di Gaza, le elezioni israeliane, il Congresso di Fatah, così come il cambiamento di governo negli USA. Siamo state in grado di sviluppare un piano d'azione mirato che ci guida nel lavoro del prossimo anno in Palestina e Israele, come pure nel rafforzato lavoro di alto-livello politico di advocacy a livello internazionale. Quanto emerso da questi intensi incontri e la notizia della tua elezione rappresentano un incoraggiamento enorme alla nostra fiducia e offre fiducia nel credere che la leadership delle donne può e deve dar forma ad una soluzione giusta e sostenibile del conflitto.

Inoltre, il piano di azione IWC si trova a sostenere i tuoi obiettivi che sono comuni ai nostri.

In particolare, il piano dell’IWC si concentra sulle seguenti priorità:

* Responsabilità per l'attuazione del diritto internazionale e delle decisioni e risoluzioni delle Nazioni Unite che sono cruciali per la fine dell'occupazione israeliana e la creazione di uno Stato palestinese accanto a quello di Israele sui confini del 4 giugno 1967. L'obiettivo immediato è quello di concentrare le nostre attività e l’advocacy non su un arresto temporaneo, ma su una totale cessazione di tutte le attività di costruzione degli insediamenti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme, con l'intento del loro smantellamento e della fine dell'assedio di Gaza.


* Protezione delle donne nell'interesse della sicurezza umana, l'attuazione della risoluzione ONU SCR1325 e il raggiungimento della pace, così come il riconoscimento del ruolo di leadership che le donne hanno svolto e svolgeranno nella risoluzione del conflitto.


* Avvio di un diverso approccio nell’ambito dei negoziati: traendo insegnamento dai fallimenti passati, l’IWC offrirà analisi e proposte per un processo di pace in grado di fornire risultati tangibili immediati attraverso un focus su tempi e scadenze chiare per un miglioramento concreto sul terreno; per la mitigazione delle asimmetrie di potere tra le parti negoziali, anche attraverso la riformulazione delle questioni in relazione alle radici del conflitto, nonché per garantire l'inclusione delle donne e di prospettive di genere.

Concludendo, Hanan, nel tuo nuovo ruolo di importante leadership, intravediamo un’occasione per te al fine di svolgere un ruolo particolare nella promozione degli obiettivi della IWC, in collaborazione con le nostre componenti onorarie, e in particolare a fianco delle nostre co-presidenti onorarie, Presidente della Finlandia, Tarja Halonen e Ellen Johnson-Sirleaf, Presidente della Liberia.

Ci auguriamo di poterti al più presto incontrare per discutere su come portare avanti la nostra comune agenda.

Mabruk ancora una volta, a nome di tutta la Commissione Internazionale delle Donne:

Il Direttivo della ICW:

Ines Alberdi (Presidente)
Ingibjorg Solrun Gisladottir
Luisa Morgantini
Sylvia Boren
Simone Susskind
Maha Abu Dayyeh
Wafa Abdel 'Rahman
Lama Houraniaa
Amal Kreisheh
Naomi Chazan
Anat Saragusti
Aida Touma Sliman
Galia Golan