23 dicembre 2008

Non dimentichiamo la sofferenza delle donne di Gaza

Dal Reportage del PCHR (Centro palestinese per i diritti umani) 26 novembre 2008

Il 25 novembre le donne in tutto il mondo celebrano la Giornata per l’Eliminazione della violenza contro le Donne adottata ufficialmente dall’ONU nel 1999, come partecipazione agli sforzi esercitati per eliminare la violenza contro le donne e insistere presso i paesi perché adottino le misure necessarie per assicurare alle donne il godimento di una necessaria sicurezza.
Quest’anno, in questa Giornata internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, la sofferenza delle donne palestinesi continua a causa della violenza da parte delle Forze di Occupazione israeliane (FOI) e della violenza interna palestinese.
Nel corso del 2008, anche l’assedio imposto alla Striscia di Gaza dalle FOI ha comportato la morte di 13 donne. A queste donne è stato negato il diritto a viaggiare per avere cure mediche avanzate fuori di Gaza, che non dispone di servizi sanitari adeguati e soffre per la mancanza di farmaci ed attrezzature. Così il numero totale di donne uccise nella Striscia di Gaza sale a 32 donne nel 2008.
Le FOI tengono in prigione ancora +/- 97 donne palestinesi, che sono vittime di forme di trattamenti umilianti applicati dalle amministrazioni carcerarie israeliane. Queste pratiche includono i maltrattamenti, la tortura, un trattamento degradante e cattive condizioni di vita in carcere.
Per quanto concerne la situazione palestinese interna, le donne palestinesi sono ancora oggetto di una violenza interna in differenti contesti e ne sono vittime. Nel 2008, il PCHR (Centro palestinese per i diritti umani) ha registrato l’omicidio di 6 donne palestinesi, 4 a Gaza e 2 in Cisgiordania, a motivo del caos nella sicurezza e di un cattivo uso delle armi. Il PCHR ha anche registrato «gli omicidi d’onore» di 3 donne palestinesi, 2 a Gaza ed uno in Cisgiordania.
Benché ci sia stato un calo notevole del numero di donne uccise per il caos nella sicurezza, per un cattivo uso delle armi e per gli «omicidi d’onore» nel 2008, rispetto all’anno precedente*, c’è un bisogno urgente di compiere più sforzi e intraprendere più azioni per affrontare la violenza interna e le sue ripercussioni, insistendo di più sugli «omicidi d’onore» che richiedono ulteriori seri sforzi per assicurare gli autori alla giustizia e non tollerare questo genere di crimini.
Nel 2008, l’assedio imposto alla Striscia di Gaza dalle FOI ha costituito uno dei fattori più significativi della sofferenza delle donne palestinesi nella Striscia di Gaza. L’assedio delle FOI ha colpito direttamente le loro vite e le loro condizioni di vita, ed ha lasciato su di loro delle ripercussioni negative, rappresentate dalla violazione diretta dei loro diritti, compreso il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto ad uno standard di vita adeguato, il diritto all’educazione ed altri diritti.
Inoltre l’assedio imposto alla Striscia di Gaza dalle FOI colpisce negativamente le donne palestinesi, soprattutto dall’inizio di novembre 2008 quando le FOI hanno aumentato le procedure di chiusura e imposto nuove restrizioni alla libera circolazione dei beni di base (cibo e farmaci) per i civili. Ne consegue che le donne di Gaza rischiano di ammalarsi di più e che si nega loro l’accesso ai beni fondamentali, comprese l’energia e l’acqua potabile.
Le donne palestinesi soffrono di un deterioramento continuo delle loro condizioni di vita. Il loro carico di lavoro aumenta perché si fa loro carico della gestione delle loro case e dell’approvvigionamento del cibo e del fatto di essere obbligate a far fronte alle ripercussioni della violazione dei loro diritti economici, sociali e culturali da parte delle FOI. Queste violazioni creano una crisi umanitaria cronica a causa dell’aumento della povertà e del tasso di disoccupazione dovuti alla politica israeliana imposta alla Striscia di Gaza.

11 dicembre 2008

Foto e video del 25 Novembre e dintorni : le Donne in Nero di Bologna e la mostra delle donne colombiane "La memoria al Viento"











Martedì 25 novembre abbiamo partecipato all'Assemblea Ri/Creativa in piazza Nettuno dove, sfidando le intemperie, è stata ospitata la mostra delle donne colombiane"La memoria al Viento" . Patricia Tough ha parlato in piazza non solo dei contenuti della mostra ma anche di come , nel quadro della violenza maschile sulle donne, il conflitto armato, il militarismo e il machismo dilaganti, colpiscono la vita delle donne mettendone in pericolo l'incolumità e l'integrità e cercando di impedirne l'autodeterminazione e la libertà.















Martedì 2 dicembre la Casa Internazionale di Roma ha ospitato la nostra iniziativa sulla Organizacion Femenina popular e Ruta Pacifica con la mostra "Memoria al Viento" , poesie di Piedad Morales della Ruta, lettura di testi, DVD sulla situazione in Colombia da una prospettiva di genere e sulle attività delle Donne di Ruta e OFP.















Venerdì 5 dicembre siamo state a Lugo (Ravenna) con la stessa iniziativa.

Continua la campagna internazionale delle Donne in Nero di solidarietà al LaOnf anche a Bologna

Come Donne in Nero di Bologna continuiamo la campagna di solidarietà al LaOnf, un insieme di 150 organizzazioni che lavorano per diffondere la nonviolenza nella società irachena, promuovendo attività finalizzate alla riduzione della violenza e del conflitto fra le comunità per costruire la pace fra i gruppi etnici e religiosi e chiamando la comunità internazionale a porre fine all'occupazione.

Ci stiamo attivando per organizzare nei prossimi mesi, insieme ad altre associazioni del territorio bolognese, alcuni momenti di incontro con esponenti del LaOnf.

Si vuole sfatare il preconcetto secondo cui la società irachena è violenta e fondamentalista. Si sta infatti formando una società civile che lavora da quattro anni per diffondere pratiche nonviolente per affermare i diritti umani e contrastare l'ingiustizia dell'occupazione.

Il sonno della ragione genera mostri: comunicato stampa di Luisa Morgantini

I COLONI ISRAELIANI SONO UNA TRAGEDIA PER I PALESTINESI E UN PERICOLO PER ISRAELE




Subito forze internazionali a protezione della popolazione palestinese

Roma 6 dicembre
Quello che sta accadendo a Hebron non è un caso: anni di connivenze, spalleggiamenti, strizzatine d'occhio da parte dei vari governi che si sono succeduti alla guida dello Stato di Israele e che hanno portato avanti contro ogni diritto internazionale una vera e propria politica coloniale, sono alla base dei fatti drammatici e delle violenze da parte dei coloni israeliani a cui stiamo assistendo nella sua recrudescenza nell'ultima settimana a Hebron e in altre città, dove i coloni attaccano i Palestinesi, sradicano gli alberi, bruciano case e moschee; una violenza che da anni colpisce la quotidianità della popolazione civile palestinese in tutti i territori occupati.
Il caso della 'casa della discordia' è solo l'ultimo in ordine di tempo nella cronaca che descrive la vita a Hebron, città fantasma dove 120.000 Palestinesi vivono ostaggi di 500 o 600 coloni israeliani protetti da migliaia di soldati e paramilitari, e dove sono all'ordine del giorno provocazioni, aggressioni e slogan razzisti come "Morte agli arabi". Più di 800 negozi palestinesi sono stati costretti a chiudere a causa degli attacchi dei coloni: su questi negozi chiusi, i coloni hanno disegnato la stella di Davide come segno di conquista.
Le violenze da parte dei coloni di Hebron, a cui si sono aggiunti migliaia di altri coloni della regione, sono scattate in seguito e in ritorsione alla decisione della Corte Suprema Israeliana di evacuare la casa della 'discordia' occupata arbitrariamente da un gruppo di 13 famiglie israeliane. Lo sgombero avvenuto ieri dopo il personale e diretto coinvolgimento del Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, è stato realizzato tra scontri, incidenti e ferimenti da circa 600 agenti in tenuta antisommossa della polizia israeliana.
"In questo caso il Governo israeliano ha saputo trovare parole dure e atti decisi contro i coloni che continuano però con le loro aggressioni e devastazioni verso i palestinesi: molti di loro li vediamo ritratti nelle foto nell'atto di lanciare pietre o addirittura di sparare, giovanissimi e giovanissime eppure già abbagliati da una violenza e un estremismo che fa paura, che incendia, distrugge e tormenta la popolazione palestinese di Hebron, di Nablus, di Gerusalemme, Tulkarem e di altre città in tutta la Cisgiordania occupata. Questi coloni, che stanno diventando sempre più aggressivi e violenti, rappresentano anche un rischio per Israele. Il Governo Israeliano dovrebbe incolpare se stesso perché è noto che "il sonno della ragione genera mostri".
Ci si chiede perché la stessa durezza e decisione da parte del Ministro della Difesa Ehud Barak o del Ministro degli Esteri Livni o dello stesso Premier uscente Olmert, non sia arrivata prima a evacuare e congelare tutte le colonie illegali; perché non abbiano capito e ostacolato prima il pericolo che questi coloni radicali rappresentano per lo stesso Stato di Israele.
La realtà è che nonostante le promesse di pace, da Annapolis le colonie israeliane sono cresciute, così come sono cresciuti gli insediamenti illegali a Gerusalemme Est, così come va avanti la costruzione del muro che ruba le terre palestinesi, che sradica gli alberi, che impedisce il movimento, che umilia e che nega un futuro ai Palestinesi ancora oggi dopo oltre 60 anni di Nakba e più di 40 di occupazione militare.
Ora, non vorrei proprio rivedere quello che è accaduto dopo il massacro perpetrato da Baruch Goldstein dentro la Moschea di Abramo: sempre più coloni e sempre più soldati per difendere l'occupazione illegale della città vecchia e l'espansione dell'insediamento di Kyriat Arba.
Certamente la responsabilità è anche della Comunità Internazionale e del Quartetto che non hanno fatto nulla per fermare queste persecuzioni. Ma non possono dire che non sapevano.
Ogni settimana il TIPH, una missione di osservazione civile che monitora lo stato dei diritti umani e le illegalità a Hebron, invia rapporti dettagliati agli Statti Membri sull'aumento delle violenze perpetrate, negli anni, dai coloni israeliani. Eppure niente è stato fatto.
E allora ha ragione Hatem Abdul Qader, consigliere del Premier Salam Fayyad, che lamentando il nostro silenzio di fronte a queste giornate di Hebron e interrogandosi sul ruolo dell'UE, ha chiesto: "E se gli europei si sentono incapaci persino di fare una dichiarazione di condanna, come possiamo aspettarci che possano contribuire alla risoluzione del conflitto?".
Faccio appello alle Nazioni Unite, al Quartetto, a chiunque abbia a cuore la giustizia e la pace: fermate i coloni e le colonie, inviate forze internazionali a proteggere la popolazione palestinese.

Per informazioni : Luisa Morgantini, Vice Presidente del Parlamento Europeo
0039 348 39 21 465 o 0039 06 69 95 02 17; luisa.morgantini@europarl.europa.eu;
http://www.luisamorgantini.net/
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21 novembre 2008

Le nostre iniziative in occasione della giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne



Come Donne in Nero e parte integrante della Rete delle Donne di Bologna abbiamo partecipato attivamente all'organizzazione della manifestazione che si svolgerà domani 22 novembre a Roma.
Martedì 25 novembre parteciperemo all'Assemblea ri/creativa in piazza Nettuno dove sarà ospitata la mostra delle donne colombiane "La memoria al Viento" e parleremo in piazza non solo dei contenuti della mostra ma anche di come ci occupiano dal nostro punto di vista della violenza maschile sulle donne.
Martedì 2 dicembre la Casa Internazionale di Roma ospiterà la nostra iniziativa sulla Organizacion Femenina popular e Ruta Pacifica con la mostra "Memoria al Viento" , poesie di Piedad Morales della Ruta, lettura di testi, DVD sulla situazione in Colombia da una prospettiva di genere e sulle attività delle Donne di Ruta e OFP, relatrice Patricia Tough.
Venerdì 5 dicembre saremo a Lugo (Ravenna) con la stessa iniziativa.

20 novembre 2008

Dedichiamo il 25 novembre alle donne del Congo orientale


Dedichiamo questo 25 novembre giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne, alle donne del Congo orientale, che stanno subendo in questo momento ancora abusi, torture ma soprattutto viene usato contro di loro lo stupro di massa come arma di guerra, per diffondere il terrore soprattutto nel Sud Kivu.
L'intensità della pratica dello stupro e di altre violenze sessuali in Kivu viene considerata la peggiore nel mondo, in una guerra iniziata nel 1998 e da allora andata avanti con gli attori armati tutti dediti allo stupro come pratica di guerra incoraggiata dalla non applicazione delle leggi internazionali .
Le donne soggette a stupro non solo subiscono la violenza anche di gruppo, ma contraggono malattie come l'AIDS e in genere a trasmissione sessuale, c'è un numero sproporzionato di donne e bambine che presentano fistole causate da violenza di gruppo e naturalmente conseguenze gravi sulla loro salute sessuale fisica e psicologica. Si conoscono solo i casi di donne che hanno denunciato la violenza subita ma molte altre non hanno parlato perché la sorte delle donne stuprate in questa società patriarcale è l'ostracismo e l'allontanamento dalla famiglia e dalla società con le figlie e i figli.
Noi Donne in Nero vogliamo esprimere la nostra sorellanza con loro e denunciare questa situazione gravissima di fronte agli organismi internazionali e mettere in evidenza come ancora una volta le ripercussioni di un conflitto armato sulle donne sono gravissime perchè il loro corpo diventa campo di battaglia e bottino di guerra in conflitti identitari e di potere estremamente
violenti e cruenti.
Le donne ancora una volta non decidono sulle guerre, ne subiscono le conseguenze nefaste e poi sono escluse dalle trattative di pace, chiediamo quindi di applicare la risoluzione 1325 che vede nelle donne una risorsa per uscire dalla guerra con giustizia e vere prospettive di pace.

Afghanistan, ragazza aggredita con acido non rinuncerà alla scuola


Sabato 15 novembre 2008 12:58 di Mohammad Aziz
KABUL (Reuters)
- La giovane vittima di un attentato con l'acido contro delle scolare in Afghanistan ha detto di essere determinata a non lasciare la scuola e completare la sua istruzione, anche se per questo rischia la morte.
La ragazza, che ha detto di chiamarsi Shamsia, è quella rimasta ferita più gravemente del gruppo di giovani aggredite mercoledì scorso da un uomo fuori dalla loro scuola nella città meridionale di Kandahar. "Continuerò la mia istruzione, anche se cercano di uccidermi, non rinuncio ad andare a scuola", ha detto Shamsia dal suo letto nel principale ospedale militare di Kabul.
Shamsia, di 17 anni, è stata ferita ad un occhio, quando l'attentatore le ha strappato il velo dal volto e le ha gettato dell'acido in faccia. Nessuno ha rivendicato l'attacco, che però ha tutte le caratteristiche di un atto dei talebani, che hanno vietato la scuola alle femmine quando erano al governo tra il 1996 e il 2001.Gli insorti hanno attaccato e distrutto centinaia di scuole in tutto il paese da quando sono stati scacciati dal potere nel 2001, dopo gli attentati dell'11 settembre negli Stati Uniti.L'attentato contro le scolare ha scioccato un paese che è pure avvezzo alla violenza. Il presidente Hamid Karzai ha definito l'attentatore un nemico dell'istruzione.
Shamsia, che ora ha gran parte del viso coperto da una pomata gialla, ha detto che doveva finire gli studi per aiutare il suo paese. "Continuerò ad andare a lezione. Studierò per poter costruire il nostro paese", ha detto.I medici dicono che Shamsia, nonostante il danno ad un occhio, è in buone condizioni. I medici decideranno se inviarla in India per nuove cure.

4 novembre 2008

Mostra : La memoria al viento


I 35 anni della Organización Femenil Popular OFP

Senza memoria la verità è menzogna,
la giustizia vantaggio per gli impuniti,
la riparazione soltanto briciole.


La mostra ripercorre la storia della più antica organizzazione di donne della Colombia che nel 1972 si è costituita come movimento contro la guerra.

A destra altre immagini della mostra

Somalia: la ragazza lapidata a morte aveva 13 anni

Da Amnesty International - 03/11/2008
Contrariamente a quanto riferito da precedenti resoconti di stampa, la ragazza giudicata "colpevole" di adulterio e lapidata a morte la scorsa settimana in Somalia aveva 13 e non 23 anni.
Aisha Ibrahim Duhulow è stata uccisa lunedì 27 ottobre da un gruppo di 50 uomini che l'ha lapidata a morte. L'esecuzione è avvenuta all'interno di uno stadio della città meridionale di Chisimaio, di fronte a un migliaio di spettatori. Alcuni dei giornalisti locali, che avevano parlato di una donna di 23 anni, hanno raccontato ad Amnesty International di essere stati tratti in inganno dall'aspetto fisico della ragazza.
Aisha Ibrahim Duhulow era arrivata a Chisimaio tre mesi fa, proveniente dal campo profughi di Hagardeer, in Kenya. Nella città portuale somala, Aisha Ibrahim Duhulow era stata stuprata da tre uomini e si era rivolta ai miliziani di "al Shabab", che controllano la zona, per ottenere giustizia. La sua denuncia aveva ottenuto come risultato l'arresto, l'accusa di adulterio e la lapidazione. Nessuno dei tre stupratori è stato arrestato.
Un uomo, che si è qualificato come lo sceicco Hayakalah, ha dichiarato a Radio Shabelle, un'emittente somala: "Lei stessa ha fornito le prove, ha confessato ufficialmente la sua colpevolezza e ci ha detto che era contenta di andare incontro alla punizione della legge islamica".
Secondo i testimoni oculari raggiunti da Amnesty International, invece, Aisha Ibrahim Duhulow ha lottato contro i suoi carnefici ed è stata trascinata a forza nello stadio. Qui la ragazza è stata interrata e i 50 uomini addetti all'esecuzione hanno iniziato a colpirla, usando le pietre appena scaricate da un camion. A un certo punto, è stato chiesto ad alcune infermiere di verificare se la ragazza fosse ancora viva; fatto ciò, la lapidazione è ripresa fino alla morte della ragazza.
"Questa ragazza è andata incontro a una morte orribile, ordinata dai gruppi armati di opposizione che controllano Chisimaio: un altro degli oltraggi ai diritti umani perpetrato dai protagonisti del conflitto somalo, che dimostra ancora una volta l'importanza che la comunità internazionale agisca, attraverso una Commissione internazionale d'inchiesta" - ha dichiarato Amnesty International.

28 ottobre 2008

APPELLO del Centro Antiviolenza Le Onde di Palermo


Da Women.it:
Nel dicembre 2007 il Comune di Palermo interrompeva la decennale convenzione per i servizi di ospitalità e accoglienza a donne e minori vittime di violenza effettuati dalla nostra associazione. Da gennaio 2008 abbiamo comunque garantito i servizi di accoglienza ed ospitalità nella Casa delle Moire e nella Casa di Maia, secondo le nuove modalità concordate con l'Amministrazione Comunale - Assessorato Attività sociali, e con l'impegno dell'inserimento delle azioni nel riallineamento del Piano di Zona DSS42 L. 328/2000, all'oggi non ancora avviato.
In questi mesi abbiamo accolto 243 donne e ospitato 18 tra donne e minori.
Il comune di Palermo non ha però erogato il pagamento delle rette, così come previsto, determinando per l'Associazione Le Onde Onlus una grave sovraesposizione economica che non è più possibile sostenere.
Siamo pienamente consapevoli che con questa scelta si determina una severa riduzione dei servizi specializzati in merito al contrasto del fenomeno della violenza verso le donne ed alla garanzia di luoghi di protezione per quelle donne coi loro figli/e costrette ad allontanarsi da casa per problemi di sicurezza.
Siamo disponibili a fornire ogni informazione e ci auguriamo che vogliate dare risalto ad una notizia che segnala per la città di Palermo e per la sua provincia una seria difficoltà per la richiesta di aiuto da parte delle vittime di violenza.
Potete contattarci:Le Onde OnlusVia XX Settembre 57
Tel. e fax 091 327973 Mail leonde@tin.it

MALALAI JOIA: Dietro la droga la mano della CIA

- Firenze, 23 ott. -
"Non e' piu' un segreto che uno degli scopi nascosti della guerra del 2001 era che la Cia riacquisisse il controllo delle rotte del traffico e di un'industria, come quella globale degli stupefacenti, che vale 600 miliardi di dollari".
Lo ha detto Malalai Joya, la deputata afghana, in questi giorni in Italia, durante un'intervista al blog http://www.losermagazine.eu/.
"L'economia della droga in Afghanistan e' un disegno politico della Cia supportato dal ministero degli Esteri statunitense. A quanto mi risulta - ha aggiunto - alcuni reparti dell'esercito americano sono direttamente coinvolti nel traffico della droga attraverso l'Afghanistan e dall'Afghanistan verso i Paesi confinanti".
Frasi forti, a pronunciarle e' Malalai Joya, la deputata afghana che, nel maggio 2007, fu sospesa dal Parlamento per aver criticato il governo del suo Paese, denunciando la presenza al suo interno dei signori della guerra, trafficanti di droga e violatori dei diritti umani. Accostata spesso a Aung San Suu Kyi, la leader dell'opposizione in Birmania, Malalai Joya e' stata premiata pochi giorni fa (il 21 ottobre) dal Consiglio regionale della Toscana con la medaglia d'oro "per l'instancabile attivita' svolta in favore della democrazia, dell'affermazione dei diritti umani e contro la violenza su donne e bambini".
"L'unico settore in cui i progressi dell'Afghanistan sono stati superiori a qualsiasi immaginazione - continua Malalai Joya - e' la coltivazione e il traffico di droga: ora il nostro Paese produce il 93% dell'oppio mondiale, e i quattro piu' grandi attori del traffico mondiale di eroina sono membri del governo afghano. Lo stesso New York Times ha riportato nei giorni scorsi la notizia che il fratello del presidente Karzai, chiamato 'il Bush di Kandahar' per i suoi legami con l'amministrazione americana, sarebbe un noto trafficante di droga". "Oggi non e' piu' un segreto - conclude la deputata afghana - che uno degli scopi nascosti della guerra del 2001 era che la Cia riacquisisse il controllo delle rotte del traffico e dei 600 miliardi di dollari che vale l'industria globale della droga". (AGI)

23 ottobre 2008

Lunedì 27 ottobre ore 20.45 in Vicolo Bolognetti 2 " America Latina : l'impegno delle donne nelle zone di conflitto ed emarginazione"

Conferenza di Patricia Tough - Donne in Nero di Bologna.

MOSTRA
LA MEMORIA AL VENTO
I 35 anni della Organización Femenil Popular OFP

Senza memoria la verità è menzogna,
la giustizia vantaggio per gli impuniti,
la riparazione soltanto briciole.

La mostra ripercorre la storia della più antica organizzazione di donne della Colombia che nel 1972 si è costituita come movimento contro la guerra a partire dalla località di Barrancabermeja, estendosi poi come rete regionale.
Dal 2000 ha assunto una dimensione nazionale arrivando fino alla capitale Bogotà.
L’OFP nata come rete sociale per la lotta contro la violenza familiare e la sottomissione delle donne, per il diritto alla casa e a una “vita digna”, è diventata punto di riferimento per tutta la comunità, anche attraverso l’istituzione delle “Case per le donne”.
Attualmente sono tremila le donne associate e circa centosettantamila le persone coinvolte dalle varie attività dell’OFP.

Lunedì 27 ottobre ore 20.45 Sala del Silentium in Vicolo Bolognetti, un'occasione per parlare ancora a Bologna delle donne di America latina, ce la dà il progetto "Le formiche della pace:donne insieme per un mondo migliore" .
Ci sarà una bellissima mostra inviataci dalle donne della OFP (Organizacion Femenina Popular) un'associazione di donne che, nata 36 anni fa a Barrancabermeja si è diffusa nel paese fino a Bogotà; illustra attraverso manifesti, magliette e altro, i temi delle lotte che da decenni portano avanti le donne coraggiose di questa associazione.Ci saranno dvd della Ruta Pacifica de Mujeres, nata nel 1996, si definisce "proposta politica femminista per l'uscita negoziata dal conflitto armato" e ingloba più di 315 associazioni e gruppi di donne di 5 regioni del paese. Aderisce alla rete internazionale delle Donne in Nero così come la OFP.Ci saranno musica e letture di testi. Nel 2005 abbiamo già avuto a Bologna la coordinatrice nazionale della Ruta, Marina Gallego.

Stasera a Palazzo D'Accursio SERATA D’ONORE PER MARISELA ORTIZ RIVERA


GIOVEDÌ 23 OTTOBRE ORE 20,45
PALAZZO D’ACCURSIO, CAPPELLA FARNESE,
PIAZZA MAGGIORE 2 - BOLOGNA
SERATA D’ONORE PER MARISELA ORTIZ RIVERA
organizzata in collaborazione con il Comune di Bologna
ASSEGNAZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE
“DANIELE - CASE DEGLI ANGELI” 2008
Presenti le Autorità Istituzionali di Regione Emilia-
Romagna, Provincia di Bologna e Comune di Bologna.
Con la partecipazione di Federica Govoni, attrice, Cristina
Ferrari cantante, Franesco Dorello alla chitarra.
Conduce la serata la giornalista Bice Biagi.
Si ringraziano per la collaborazione:
QUARTIERE SAN VITALE - COMUNE DI BOLOGNA
COMUNE DI CASTELLO D’ARGILE
COMUNE DI PIEVE DI CENTO
COMUNE DI SASSO MARCONI
ASSOCIAZIONE AMNESTY INTERNATIONAL - BOLOGNA
ASSOCIAZIONE TATAWELO - FIRENZE
ASSOCIAZIONE DONNE IN NERO - BOLOGNA
ASSOCIAZIONE DONNE DI SABBIA - TORINO
ASSOCIAZIONE MARIBEL - BERGAMO
ASSOCIAZIONE CARACULT - BOLOGNA

Gli esiti del programma “giustizia” italiano in Afghanistan:

Nell’ottobre del 2007 i criminali al potere in Afghanistan hanno incarcerato, nella provincia di Balkh (nel nord dell’Afghanistan), il giovane giornalista Parwiz Kambakhsh.
Parwiz è stato accusato di blasfemia per aver distribuito un articolo, stampato da Internet, nel quale si parlava dei diritti delle donne nell’Islam.
Inizialmente condannato a morte dall’oscurantista consiglio dei religiosi di Balkh, Parwiz ha aspettato per un anno, in galera, la sentenza della corte d’appello e ora la sua esecuzione è stata trasformata in 20 anni di reclusione. I suoi avvocati vogliono ricorrere alla corte suprema, ma senza una mobilitazione internazionale a favore di Parwiz la condanna sarà probabilmente confermata.
Le infamanti accuse nei confronti di Parwiz da parte dei tribunali afghani dimostrano come in Afghanistan, a sette anni dall’invasione militare americana, la libertà di stampa sia totalmente negata e come non sia in vigore una giustizia che possa definirsi tale.
Un altro esempio è quello di Naseer Fayyaz , un altro coraggioso giornalista, che per aver criticato il governo è stato minacciato di morte da noti criminali - oggi al potere - come Ismail Khan e Qasim Fahim, e perseguitato dai servizi segreti afghani (KHAD), finché si è trovato costretto a lasciare il paese.
In Afghanistan quella in vigore è solo la legge del più forte, e chiunque osi opporsi ai fondamentalisti al potere e alle autorità religiose viene punito con condanne esemplari, minacciato, costretto ad allontanarsi dal paese, ucciso, indagato dai servizi segreti.
Durante la legislatura di centrodestra (2005-2006), il governo italiano - secondo le direttive varate dopo le conferenze di Bonn (2001) e di Londra (2006) - ha messo in piedi un costosissimo programma giustizia (50 milioni di euro, spesi dai contribuenti italiani) al quale hanno lavorato centinaia di esperti italiani, e con cui si sarebbe dovuto ricostruire il sistema giuridico afghano.
L’assurda condanna di Parwiz Kambakhsh dimostra quanto il programma giustizia promosso dal nostro governo sia stato fallimentare, soprattutto a fronte dell’enorme spesa sostenuta. È anche un’ulteriore disfatta per Karzai e per i governi occidentali che hanno vestito dei noti criminali di guerra in giacca e cravatta definendoli democratici e portandoli al potere.
Chiediamo che tutti i sinceri democratici, coloro che credono che non esista una giustizia di serie A, per gli occidentali, e una di serie B, per tutti gli altri, alzino la loro voce mobilitandosi in tutti i modi possibili e a tutti i livelli, per assicurare la libertà a Parwiz Kambakhsh e la libertà di espressione e la legalità a tutti i giornalisti e democratici afghani.

CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
22 ottobre 2008

7 ottobre 2008

Due anni fa l'assassinio di Anna Politkovskaja

Oggi ricorre il secondo anniversario dell'assassinio di Anna Politkovskaja uccisa a Mosca nell'ascensore della sua casa per mano di sicari crudeli che hanno chiuso la bocca a una giornalista coraggiosa che osava chiamare Putin "bandito" e diceva la verità sulla Cecenia, sull'estrema violenza di questa guerra, sulla sorte dei giovani che sono andati a combatterla e della popolazione che l'ha subita e dei giovani che sono andati a combatterla con il mito della grande patria russa. E' stato l'ultimo atto di una lunga serie di minacce e tentativi di uccisione che Anna aveva subito negli anni. Ma la sua idea di giornalismo era alta: cercava di raccontare con onestà quello che vedeva, scriveva pensando che i diritti umani siano un valore assoluto, da difendere sempre anche in Cecenia che lei definiva "un inferno sulla terra".

Da "il disonore russo" di A. Politkovskaja

"Le guerre finiscono precisamente quando i nostri sentimenti di odio cedono il passo...altrimenti, come tanti condannati a morte aspettiamo il nostro turno, perché abbiamo affidato il nostro paese a persone che non hanno paura di starminare i propri simili, innocenti. Non si tratta della guerra senza quartioere contro il "terrorismo internazionale" dove i "dettagli" non contano. Si tratta di capire quello che è successo a NOI. E' di noi che si tratta. Della bestialità che ha invaso i nostri cuori. E dal cuore di questa Cecenia "pacificata" ho voglia di gridare:SOS!"

4 ottobre 2008

DOMENICA A VICENZA SI VOTA!


Dal comitato NO DAL MOLIN


Date: Fri, 3 Oct 2008 11:17:06 +0200

IL CONSIGLIO DI STATO? LADRO DI DEMOCRAZIA
DOMENICA 5 OTTOBRE SI VOTA COMUNQUE

Stasera, in piazza dei Signori a Vicenza, il Sindaco, davanti a migliaia di persone (la piazza era stracolma), ha invitato i cittadini ad andare comunque a votare domenica prossima come già stabilito, presentandosi col documento d'identità e il questionario dalle 8.00 alle 21.00 al proprio seggio. Quindi, nonostante il Consiglio di Stato, la consultazione a Vicenza si farà!Per il futuro della nostra città e per non farci imbavagliare dai nostri governanti, PARTECIPIAMO TUTTI alla consultazione. Difendiamo la democrazia!

PS: Dopo la notizia del consiglio di stato, per chi avesse buttato via la scheda elettorale, nonostante avesse voluto votare, c’è la possibilità di andare a prendersene un’altra presso gli Uffici Elettorali del Comune (per info, andate sul sito internet del Comune
http://www.comune.vicenza.it/ente/referendum/), oppure potete tranquillamente richiederla presso il vostro seggio elettorale (lo trovate scritto sulla vostra scheda elettorale), votando direttamente sul posto.

1 ottobre 2008

A Vicenza ferita la sovranità e la democrazia!

COMUNICATO STAMPA

A VICENZA FERITA LA SOVRANITA' E LA DEMOCRAZIA!
CON NO DAL MOLIN E SI' A VICENZA
Di
Luisa Morgantini
Vice Presidente del Parlamento Europeo

Roma, 1 Ottobre 2008

E' davvero una pena la decisione da parte del Consiglio di Stato di accogliere la richiesta di sospensione della consultazione popolare sulla costruzione della Base americana a Vicenza. Una pena per l'arroganza e la cancellazione della democrazia.
Sono stata ieri a Vicenza e ho visto con i miei occhi la base: l'ho guardata dal belvedere e appariva come una ferita aperta di una città, consegnata nelle mani di un altro paese, un luogo di cui perdiamo la sovranità e dove troveranno - come dice ipocriticamente il Commissario Costa - riposo, i soldati di ritorno dalle missioni in Iraq e in Afghanistan, dove però non vanno a riposare ma a bombardare e uccidere troppo spesso civili.
Sono anche entrata nell'area destinata al 'riposo del guerriero' e ho avuto una sensazione di morte: ho visto gli uomini e le donne dell'aeroporto civile che sarà dismesso e che non avranno più il loro lavoro, e i 15 studenti da pilota che devono interrompere il loro corso e gli hangar e gli aerei inutilizzati, di corsa li stavano portando ieri a Thiene, perchè da Dal Molin hanno avuto l'ordine di non sollevarsi più in volo.
Sono andata nella tenda di No dal Molin, un laboratorio di democrazia e di volontà di cittadini e cittadine di Vicenza che non vogliono né una città militarizzata né l'inquinamento della quarta falda acquifera più grande d'Europa proprio sotto la base.
Concordo con le parole del Comitato del Presidio No dal Molin, di Cinzia Bottene e delle altre donne e uomini del Presidio: stiamo assistendo ad una drammatica emergenza democratica che cancella il legittimo diritto previsto costituzionalmente dei cittadini di esprimere liberamente la propria opinione e decidere del proprio territorio e della propria vita.
Vale comunque la pena andare avanti perché la battaglia del Presidio No Dal Molin è giusta perché difende la terra da disastri ambientali e da città militarizzate.
Tutta la mia solidarietà alle donne e agli uomini del No Dal Molin e la mia adesione alla manifestazione di questa sera e di tutti i giorni a venire.

30 settembre 2008

Una tremenda notizia: assassinata Olga Marina Vergara, donna in nero della Colombia


Assassinati a Medellin Olga Marina Vergara, il figlio, la nuora e il nipote di 5 anni. Olga Marina faceva parte della Ruta Pacífica de Mujeres e della Rete delle Donne in Nero.

Riportiamo il testo originale della lettera inoltrata dalle Donne in Nero italiane alle autorità colombiane.

Bologna, 29 Septiembre 2008.
Recibimos la tremenda noticia del asesinato en Medellin de Olga Marina Vergara, su hijo, su nuera y su nieto de cinco años, por mano de sicarios. Olga Marina Vergara era integrante de la Ruta Pacífica de Mujeres y de la Red Internacional de Mujeres de Negro, una activista pacifista e femminista y defensora de los derechos humanos.
Frente a este asesinato hemos exprimido todo nuestro pesame y apoyo a la familia de Olga Marina asì cruelmente golpeada y a las mujeres de la Ruta Pacifica de las Mujeres y de la Red de Mujeres de Negro que se oponen hace años a la militarizacion cada dia mas violenta en el paìs y a la violencia que sufre el pueblo y en particular las mujeres sumamente afectadas por ese clima insoportable creado por el perdurar del conflicto armado.
Queremos expresar nuestra repudio por los asesinatos y pedimos a las autoridades que
· investiguen para que se determine la verdad sobre lo sucedido y que los asesinatos no queden impunes.
· contribuyan a crear una convivencia en la qual se respete la vida de las mujeres.

Junto a la Ruta Pacífica declaramos:
"Nuestro interés es establecer un compromiso ético y político para terminar con la impunidad y la permisividad social acerca de las violencias que se ejerce contra las mujeres y más en la situación de conflicto que enfrenta Colombia”

Mujeres de Negro Italia

28 settembre 2008

Kandahar, uccisa la poliziotta delle donne, simbolo del riscatto femminile in Afghanistan


Da Repubblica.it
Un gruppo di taliban ha fatto fuoco davanti a casa sua. Ferito gravemente un figlioDirigeva il Dipartimento per i reati sessuali nella terra del fondamentalismo religioso
Presa di posizione dell'Unione europea: "Per tutte le afgane serviva da esempio"

Era la prima donna divenuta poliziotto a Kandahar dopo la caduta dei taliban. Un'eroina nazionale, simbolo della rinascita femminile in Afghanistan. L'hanno uccisa stamane, davanti alla porta di casa. Stava andando a lavorare. E' rimasto ferito gravemente anche uno dei suoi figli. Malalai Kakar era la poliziotta più famosa del paese, un simbolo del riscatto femminile nella terra che fu culla del movimento fondamentalista religioso. Aveva rinunciato a portare il burqa due anni fa e i taliban l'avevano minacciata più volte. Con una telefonata all'agenzia di stampa France Press gli studenti integralisti hanno rivendicato il delitto: "Oggi - ha dichiarato un portavoce del gruppo - siamo riusciti ad eliminare un nostro bersaglio". Contro i reati sessuali. Malalai non aveva mai chinato la testa: "Era una donna molto coraggiosa", dicono adesso i suoi colleghi. Dirigeva il Dipartimento reati contro le donne nella roccaforte dei taliban e sapeva di essere nel mirino dei fondamentalisti. Anche la precedente responsabile del Dipartimento crimini contro le donne di Kandahar era stata uccisa due anni fa. Quella volta che uccise tre killer. Stamane non le è servito essere armata. Le hanno sparato alla testa ed è morta sul colpo. Aveva quarant'anni ed era madre di sei figli. Suo padre e suo fratello erano poliziotti come lei. Nelle forze dell'ordine era entrata già alla fine degli anni Ottanta, ma poi l'ascesa dei taliban l'aveva costretta a fuggire in Pakistan. Era rientrata alla caduta del loro regime nel 2001 e aveva assunto il comando del Dipartimento con il grado di capitano. Scampata a numerosi tentativi di assassinio, la sua fama era dovuta a quella volta in cui uccise i tre killer che volevano ucciderla.
In una recente intervista a una cronista occidentale, Malalai Kakar ammise che i "crimini alle donne sono reati su cui i miei colleghi maschi non vogliono investigare. Ricordo di quella volta che scoprii una donna e sua figlia incatenati al letto. La donna era vedova e i familiari l'avevano passata in moglie al cognato che però l'aveva legata al letto per dieci giorni a pane e acqua. Ho liberato molte donne dalla schiavitù dei loro uomini e questo mi è valsa una certa notaritetà tra le donne che mi amano e mi fanno sentire forte contro le minacce di morte". Settecento agenti uccisi in 6 mesi. Da quando la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti li ha cacciati dal potere, i taliban hanno lanciato una vera e propria guerriglia mortale. Malgrado la presenza di 70mila soldati delle forze multinazionali, da due anni le violenze sono aumentate di intensità. Negli ultimi sei mesi i fondamentalisti hanno ucciso 720 agenti. Prima di Malalai Kakar, un'altra donna poliziotto è stata assassinata in Afghanistan nel giugno scorso. Anche allora, la polizia locale di Herat aveva accusato dell'omicidio i taliban.
(28 settembre 2008)

26 settembre 2008

No agli scambi politici sul corpo delle donne!

La Regione Emilia Romagna sta per approvare le "Linee d'indirizzo per i piani di zona per la salute ed il benessere sociale per una piena applicazione della L.194/78".
Le donne non sono state ascoltate ma hanno molto da dire: l'aborto è una libera scelta e non una colpa!
La libertà di autodeterminazione delle donne è la premessa ad ogni discorso sull’aborto.
Quando entriamo in un Consultorio e/o in ospedale vogliamo essere accolte da un medico e non da un’assistente sociale.
Quando abortiamo abbiamo bisogno di cure mediche e non di indagini o giudizi sulla nostra vita! Siamo noi a scegliere di chiedere aiuto se ne abbiamo bisogno!
La sanità deve essere pubblica e laica.
L’associazionismo e i privati sociali possono integrarsi, ma con modalità trasparenti e regole chiare.Non devono sostituirsi nè devono essere invasivi.
Devono restare fuori dai consultori.
Le associazioni che intendono collaborare a una “piena applicazione” della Legge 194 non possono essere contrarie all’aborto e non possono avere nello statuto finalità contro la 194 e contro la libertà di scelta procreativa delle donne.
La modalità con cui una donna vuole abortire (IVG o RU486) dipende solo dalla sua decisione!L’obiezione di coscienza è lo strumento che sta affossando la L.194, non possiamo permetterlo.I diritti dei "camici bianchi" finiscono quando impediscono quelli delle donne.La legge che meno viene applicata è quella sui consultori, che necessitano di finanziamenti e riqualificazione.La prevenzione non è dissuasione ma contraccezione! Conoscere la nostra sessualità aiuta tutte e tutti a scegliere in libertà.Il numero di donne italiane e migranti che scelgono l’IVG è in diminuzione. Non c’è alcuna emergenza rispetto all’aborto, ma rispetto al razzismo sì!
No allo stigma sul corpo delle donne di qualsiasi nazionalità.
Abbiamo chiesto di essere ascoltate dalle istituzioni ma stiamo ancora aspettando!

Rete delle donne di Bologna retedonnebologna@women.it
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23 settembre 2008

Donne in Nero a Bruxelles con le donne del NO Dal Molin, contro le basi militari e gli scudi spaziali



Dal 15 al 17 settembre ci siamo recate a Bruxelles su invito di Luisa Morgantini, Vice Presidente del ParlamentoEuropeo del gruppo GUE- Verdi Nordici e Donne in Nero, con donne dei movimenti contro le basi militari e gli scudi spaziali.
Il titolo dell'incontro, concordato da Luisa Morgantini e Paola Ziche delle Donne No dal Molin era "Donne insieme per difendere la terra, per un futuro senza basi militari e scudi spaziali".
Oltre alle Donne in Nero erano presenti una folta delegazione del Gruppo Donne No Dal Molin, donne della Campagna contro lo Scudo Spaziale della Repubblica Ceca e dell'Italia, due movimenti che vedono una lotta concreta sul territorio italiano e ceco con un grosso protagonismo femminile, una rappresentante dei cittadini statunitensi per la Pace e la Giustizia.
E' stato un momento di particolare interesse perché ha dato la possibilità, oltre che sensibilizzare il PE, di stabilire relazioni fra alcune realtà europee che hanno in comune il sentire e l'agire della lotta antimilitarista e contro la guerra. Nelle intenzioni di Luisa, quando aveva invitato le Donne No dal Molin estendendolo alle DIN, come lei stessa ci ha detto durante l'incontro che abbiamo avuto in preparazione dell' audizione con i parlamentari, vi era la necessità di mettere in rete le esperienze di donne che sono attive in diversi paesi europei. Purtroppo per questioni di tempo e della mancata disponibilità di parlamentari di altri paesi ad impegnarsi per quella data, le realtà europee sono state solo le ceche e le italiane. Ma si può riparlarne per la primavera.
Si è unanimemente individuata una vera emergenza democratica in Europa sia sul piano dell'informazione che su quello della decisione a dispetto dell'opinione dei cittadini, si pensi che nella Repubblica Ceca il 70% delle cittadine e cittadini sono contro l'installazione della base militare USA e allo scudo spaziale e a Vicenza più del 50% lo sono contro la nuova base USA ma questo non ha nessun peso rispetto alle decisioni. Si è inoltre evidenziato come essere contro la costruzione di nuove basi militari e dello scudo spaziale nasce non solo dal desiderio di salvaguardare il territorio ma anche dalla volontà di non essere complici di guerre e nuovi attacchi e violenze sulle popolazioni di altri paesi come sta avvenendo oggi in tutto il mondo. (1)
Si è potuto inoltre approfondire il tipo di richieste che si possono fare al Parlamento Europeo e quello che realisticamente ci si può aspettare da questa istituzione, si sono quindi stabilite una serie di priorità per rispondere alla legittima esigenza del gruppo donne del presidio No dal Molin di ritornare a casa con qualche risultato tangibile.
La bella e sentita discussione avviata si è conclusa con la decisione di redigere da parte delle Donne del No Dal Molin un documento da sottoporre alla firma dei parlamentari UE in cui si chiedono impegni precisi in ordine alla garanzia di poter svolgere la consultazione sulla nuova base USA il 5 ottobre anche con pronunciamenti da parte dei parlamentari UE o dello stesso parlamento europeo, mentre si stanno operando forti pressioni anche sul piano giuridico per non permetterne lo svolgimento, in particolare ad opera del presidente del consiglio Berlusconi, mettendo in evidenza la realtà del deficit di democrazia che denunciamo. Si è chiesta la presenza dei parlamentari europei a Vicenza magari a rotazione dal 30 settembre al 6 ottobre anche per garantire che non si avvii la costruzione della base prima dello svolgimento della consultazione. Le prime presenze confermate sono quelle di Umberto Guidoni, Luisa Morgantini e Kusschaster.
Si chiede inoltre di proporre interpellanze e interrogazioni per far applicare la direttiva europea sulla valutazione di impatto ambientale tenendo conto del fatto che la base si farà su un territorio sotto il quale si trova la quarta falda acquifera per importanza in Europa (come se ne garantirà la salvaguardia?), perchè si avviino inoltre procedure di infrazione del diritto comunitario in materia ambientale e di diritto all'informazione e alla libera espressione dato che questa viene oltretutto criminalizzata e si reprime violentemente il diritto a manifestare pacificamente e con metodi non violenti .
Si chiede naturalmente di firmare e far firmare ad altre/i parlamentari il documento redatto per dichiarare in tal modo il proprio appoggio ma anche il proprio impegno a difendere i legittimi diritti dei cittadini di Vicenza a "salvaguardare la terra". Per il Parlamento Europeo, Luisa Morgantini ha già inviato l'appello a tutti i parlamentari e preparato l'interrogazione scritta al Consiglio che alla Commissione
Si è anche chiesto un aiuto finanziario per questa campagna contro la nuova base di Vicenza che si basa solamente sull'autofinanziamento.
Per quanto riguarda lo "scudo Spaziale" si sta già lavorando all'organizzazione di una nuova manifestazione a Praga anche con l'apporto di parlamentari europei. Giulietto Chiesa e Luisa raccoglieranno le firme.
Per quanto riguarda noi Donne in Nero, facciamo nostra la lotta delle Donne del No Dal Molin con l'impegno a manifestare anche in vigil nelle principali città sul diritto della città di Vicenza a svolgere nella libertà e nel rispetto delle regole democratiche la consultazione sulla costruzione della nuova base USA.
(1) Abbiamo incontrato le donne della "Campagna per i diritti umani economici dei poveri" degli USA invitate dal Gruppo Gue-Ngl al parlamento europeo e queste denunciavano come la guerra sia stata fatta pagare ai poveri creando nuove e sempre maggiori situazioni di povertà e come chi protesta sia sottoposto ad arresti e lunghi periodi di detenzione mentre i figli vengono tolti alle madri che non hanno lavoro e casa, una grave emergenza abitazionale e di mancanza di cibo oltre a un deficit drammatico di democrazia e rispetto dei diritti umani per cui queste donne chiedono aiuto all'Europa.
Patricia Tough-Donne in Nero Bologna

14 settembre 2008

NEWS da Jasmina Tesanovic sul processo di cambiamento politico in atto in Serbia


Sempre interessanti e intriganti i commenti di Jasmina Tesanovic su quanto avviene al Tribunale dell’Aja dove è iniziato il processo al criminale di guerra Radovan Karadzic.

Notizie
Giornate storiche in Serbia. Permettete un pò di euforia in mezzo ai soliti scettici. Ieri il parlamento ha ratificato l’accordo per una futura entrata nell’Unione Europea. Oggi il pubblico ministero del Tribunale dell’Aja è venuto a Belgrado per discutere di mutua collaborazione, e dell’arresto degli ultimi due maggiori criminali di guerra incriminati Ratko Mladic and Goran Hadzic.Dopo il drammatico arresto di Radovan Karadzic un mese e mezzo fa, senza dubbio la Serbia sembra incamminata su una nuova linea politica. Il partito radicale, il cui leader Vojislav Seselj è sotto processo all’Aja,si è spaccato su questa questione dell’Europa. L’ala radicale più progressista vuole unirsi all’Europa mentre gli irriducibili di destra insistono nello sfidare il mondo.

Una settimana fa.

Non dichiarandosi assolutamente colpevole, facendo anche lo spiritoso, , Dragan Dabic alias Radovan Karadzic è apparso nel Tribunale dell’Aja.
Ha annunciato: posso avere la sua parola, giudice, che lei dirà che io sono “non colpevole” quando tradurrà il mio rifiuto di dichiararmi colpevole? Karadzic ha offerto un sorriso forzato che il giudice che presiedeva non ha restituito.
“La corte deciderà” ha risposto il giudice
Il processo ora è aperto anche se Karadzic ha presentato molti documenti che contestano la procedura, il suo arresto e il fatto di essere trattato come un prigioniero.
Ha rinunciato al diritto di sentire l’accusa in attesa della nuova. Il giudice che presiedeva ha rimproverato il pubblico ministero generale per non aver completato la nuova accusa.
Karadzic ha anche reclamato il diritto all’autodifesa senza un avvocato. Il suo computer, preso durante il suo arresto lo scorso mese a Belgrado, con ogni probabilità conteneva le sue linee e strategie di difesa.
Radovan Karadzic, ora vestito da avvocato occidentale invece che da mistico guru serbo, ha chiesto altro tempo, ha lasciato la corte allo stesso modo spavaldo di Slobodan Milosevic nei primi giorni del suo processo. Questo atteggiamento ci fa suonare nella mente un campanello: la sua linea di difesa sarà “un uomo solo contro il sistema”.
Benché Milosevic abbia pagato con la vita questo metodo, il sistema è stato in realtà sconfitto, dato che non è riuscito ad emettere una sentenza. Vediamo chi vincerà questo round, essendo verità e giustizia le condizioni della vittoria.
Recentemente il genocidio di Srebrenica, per il quale Radovan Karadzic è accusato, è stato usato dai politici russi per scusare l’intervento russo in Georgia. I russi rivendicano di agire per prevenire in Ossezia un massacro stile Kosovo. Eppure i russi costituiscono una voce forte nell’Onu contro la secessione del Kosovo dalla Serbia anche mentre appoggiano la secessione di Abkhazia e Ossezia dalla Georgia.
Sembrerebbe che l’esistenza di Karadzic sia ora una scusa per le superpotenze per oliare i carri armati e attivare le forze navali e aeree.
Nello stesso tempo a Belgrado un’agenzia turistica sta organizzando tour speciali nei luoghi dove Karadzic nelle vesti di Dragan Dabic beveva, mangiava, comprava la torta di patate, giocava e si esibiva con la medicina alternativa:Pop Art Radovan. I turisti si prenotano mesi prima; i turisti vogliono bere e mangiare come un criminale di guerra per un’ora. Il tour viene filmato dal National geographic. Karadzic dall’Aja si scusa con i fan di Radovan Dabic per averli ingannati.
La Serbia negli anni passati è stata famosa per i criminali di statura mondiale, I turisti sono interessati anche ad altri come ad esempio alla topografia dei defunti Arkan, Milosevic e anche di Tito.
Recenti sviluppi politici hanno comunque auspicato che la futura immagine pubblica serba sia collegata alle star del tennis e alle loro abitudini. Ci dispiace per i fan dei criminali di guerra: nessuno è perfetto.

Jasmina Tesanovic
Belgrade, the 10th of September 2008.

DONNE INSIEME A BRUXELLES IN DIFESA DELLA TERRA PER UN FUTURO SENZA BASI MILITARI E SCUDI SPAZIALI

Il 17 settembre alcune donne in nero italiane saranno a Bruxelles, con altre donne che lottano contro la militarizzazione per ribadire il diritto a un domani senza basi di guerra e scudi spaziali.

17 Settembre 2008
Contro la militarizzazione del territorio, delle nostre vite, delle nostre menti

www.luisamorgantini.net

11 settembre 2008

Afghanistan: aumentano le autoimmolazioni delle donne

Ecco cosa accade nella zona di Herat sotto il controllo dei militari italiani.

La maggior parte delle donne che si sono autoimmolate ha un'età compresa tra i 12 e i 30 anni.
Quest'anno 47 casi sono stati curati nell' ospedale specializzato di Herat. Altri 42 casi hanno avuto la morte come conseguenza delle ustioni, con un aumento rispetto allo scorso anno in cui le autoimmolazioni erano state 30, con il 90% delle pazienti morte.

Il dott. Jalali afferma che l'ospedale specializzato nella cura degli ustionati, costruito ad Herat per 34 letti con equipaggiamento d'avanguardia con l'aiuto degli U.S.A. e della Francia, è ormai insufficiente a causa dell'aumento di pazienti provenienti dalle aree rurali.
La maggior parte dei casi sono conseguenza di violenze domestiche commesse dai mariti e dalle loro famiglie.

La trentenne Alia ricoverata ad Herat ha detto: " Non potevo resistere più alle violenze familiari così mi sono data fuoco col petrolio". Alia ha dei bambini. Secondo le dichiarazioni del medico curante il 60% del suo corpo presenta delle ustioni e il suo stato è così critico che non può dare altri dettagli.

Seema Shir Mohammadi, a capo dell'ufficio per le problematiche delle donne di Herat, afferma che si fa poca propaganda per i diritti delle donne a causa di problemi di sicurezza, che le statistiche sulle autoimmolazioni sono spaventose e che queste sono dovute all'ignoranza dei diritti all'interno delle famiglie, alla povertà e alla disoccupazione.
Segnalazione di ITALIARAWA

10 settembre 2008

Un trionfo per le donne del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres di Chihuahua

Da Luz Esthela Castro Rodríguez ,Coordinadora del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres di Chihuahua, Messico, riceviamo questo messaggio: lo pubblichiamo come testimonianza positiva delle lotte delle donne anche in campo giudiziario.
(Traduzione di Patricia Tough)

Un trionfo che condividiamo con tutte.

7 Sep 2008

Venerdì 5 settembre, si è tenuta un’udienza inedita nello stato di Chihuahua nell’ambito del nuovo sistema di giudizio penale.
Dolores Tarín sopravvisuta a femminicidio e la sua avvocata Lucha Castro del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres si sono scontrate con la Procura dello Stato (Pubblico Ministero) che aveva presentato una richiesta al Giudice di Garanzia perchè sostituisse al giudizio orale, un giudizio abbreviato; in tal caso il sicario si dichiara colpevole e in cambio ottiene il beneficio della pena minore per il delitto commesso, situazione che avremmo preso in considerazione anche noi, se il sicario avesse fornito sufficienti informazioni al fine di processare l’autore intellettuale che è fuggito dalla città senza lasciare traccia e rispetto al quale il PM non ha mai fatto indagini.
Si suppone che il PM rappresenti gli interessi della società e presenti l’accusa a nome della vittima. L’aspetto inedito del caso è stato che il dibattito si è tenuto tra il PM da un lato e la vittima e la coadiuvante dall’altro!!!!! Con il PM che insisteva per fare un procedimento abbreviato e la vittima e la coadiuvante che esigevano un giudizio orale.
Il giudice, l’imputato e i suoi avvocati non credevano alle loro orecchie nell’ascoltare il PM che contraddiceva apertamente la coadiuvanza e segnalava ripetutamente che non si trattava di un delitto di genere; che non era un caso emblematico; che non dava luogo ad applicazione degli accordi internazionali CEDAW e BELEM DO PARA, sui quali si basava la petizione della coadiuvanza che esigeva il giudizio orale.
Prima di accettare il giudizio abbreviato, il giudice doveva decidere come risolvere questa situazione che si presentava per la prima volta nello stato, cioè la manifestazione di aperto contrasto manifestatosi fra la vittima e il PM che si suppone la dovesse rappresentare. Gli argomenti della vittima e della coadiuvante hanno avuto successo. Il giudice ha negato il procedimento abbreviato e autorizzato che si realizzi prossimamente il giudizio orale.
La sala è risultata insufficiente a contenere tutto il pubblico che cercava di entrare; all’esterno uno striscione dichiarava la “chiusura” del Nuovo Sistema di Giustizia Penale per violazione dei Diritti Umani delle donne; studenti di diritto che seguivano altri processi orali si sono uniti a questo processo chiedendo consulenza al CEDEHM; le guardie del luogo chiedevano scusa ai partecipanti per l’atteggiamento del PM., infine si può dire che è stata una giornata di successo.
Ringraziamo le organizzazioni e le persone che sono state con noi, che hanno diffuso i nostri comunicati e che ci hanno sostenuto.

Centro de Derechos Humanos de las Mujeres http://www.cedehm.org/

Solidarietà al NO DAL MOLIN



Dal sito http://nodalmolin.it/

06/09/2008 fonte: Presidio Permanente


Caricare le manifestazioni pacifiche? A Vicenza si può!


Finisce con 6 fermi e una trentina di feriti la manifestazione pacifica organizzata e dichiarata per oggi. Evidentemente in Italia non è possibile manifestare, nemmeno pacificamente.
Una manifestazione pubblica, dichiarata e stampata sui giornali. Alla luce del sole, dichiarati gli intenti e quello che si sarebbe andato a fare. Costruire una torretta per monitorare la situazione dei lavori all'interno dell'aeroporto. Su luogo privato per cui avevamo il beneplacito del proprietario, e la richiesta di autorizzazione per occupazione di suolo pubblico.
Questo probabilmente non è bastato per dissuadere le forze dell'ordine (del disordine?) dal caricare, trascinare, manganellare, prendere a calci questa manifestazione pacifica di vicentini. Donne, vecchi, ragazzi. Indiscriminatamente maltrattati, con pretesti ridicoli. "Quella torretta è troppo alta". Già duecento metri prima del punto concordato per la posa della torretta il corteo era stato improvvisamente bloccato. Un blocco imotivato e futile, aggirato dai cittadini passando per il fosso laterale. Poi la costruzione. Finché l'ordine è arrivato. I cittadini si siedono e difendono la costruenda torretta con un sit-in. A nulla valgono i discorsi per cercare di essere ragionevoli.
La prima carica ha fatto vari feriti e cinque fermi. Nella seconda alcune ragazze sono state prese a calci, altri ricevevano colpi di scudo, qualcuno è stato trascinato per i capelli. Gli occhi sfigurati di poliziotti, carabinieri e guardie di finanza e gli insulti: "Ti uccido! Sporco pacifista! Ti spacco la testa". Il corteo quindi si rifugia nel giardino di una casa adiacente, ospitati dagli abitanti solidali.

27 agosto 2008

Insieme per la pace, contro la guerra nel Caucaso


Come Donne in Nero di Bologna aderiamo all'appello pubblicato sul sito "Beati i costruttori di Pace"

Il Caucaso non ci è familiare. E' successo con la Cecenia; sta accadendo con l'Ossezia del Sud e con la Georgia. Sul piano politico c'è un intrico difficile da dipanare e non sappiamo come andrà a finire.
Ma c'è la guerra.
Abbiamo appena ricordato il peggiore, ma non l'unico, olocausto di civili in un'azione di guerra: gli oltre 200.000 morti causati da due sole bombe, sganciate il 6 e il 9 agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki.
Sempre in un agosto distratto dal caldo e dalle vacanze, dobbiamo constatare che ancora una volta di mira vengono prese le città, bombardate, cannoneggiate, invase, con grande abbondanza di uccisi, feriti, sfollati e rifugiati. Lasciamo ad altri le analisi strategiche. Le potenze, grandi o piccole che siano, stanno dimostrando ancora una volta il loro disprezzo del diritto internazionale, la loro arroganza verso le istituzioni internazionali, che hanno il mandato di affrontare tutti i conflitti fra Stati al fine di "salvare le future generazioni dal flagello della guerra".
I tentativi da tutte le parti di affermare l'inefficacia dell'ONU, le recenti proposte tese a superare l'ONU con coalizioni allargate agli Stati consenzienti, perseguono solo la negazione del diritto internazionale, la pretesa di scriversi le regole da soli con la prepotenza.
A noi interessano il punto di vista e la storia dei colpiti, lo shock che segnerà per sempre la loro vita, le condizioni inumane in cui da subito sono costretti a vivere. Abbiamo sperato che la situazione si risolvesse con velocità, che alle parole corrispondessero i fatti e si rientrasse nell'ambito della legalità internazionale. Siamo invece agli irrigidimenti, ai dispetti, ai ricatti e a una complicazione assurda. Non possiamo continuare ad attendere.
Qualcuno ha chiesto dove sono i pacifisti. Chiediamo che nessuno deleghi la responsabilità della pace, obiettivo e impegno per tutti. Per questo invitiamo tutte le persone ad uscire insieme e porre in tutte le città dei segni che esprimano l’urgenza di far cessare le azioni militari nel Caucaso e la necessità di ripristinare la legalità internazionale.

6 agosto 2008

Appello delle Donne in Nero spagnole in favore della rete di associazioni irachene per la nonviolenza LAONF


Come Donne in Nero di Bologna aderiamo all'appello delle Donne in Nero spagnole che esprimono solidarietà al LAONF,un insieme di 150 organizzazioni che lavorano per diffondere la nonviolenza nella società irachena, organizzando la "Terza settimana della nonviolenza" che consiste nello svolgimento in tutti i governatorati iracheni di attività finalizzate alla riduzione della violenza e del conflitto fra le comunità per costruire la pace fra i gruppi etnici e religiosi e chiamando la comunità internazionale a porre fine all'occupazione. Si vuole sfatare il preconcetto secondo cui la società irachena è violenta e fondamentalista. Si sta infatti formando una società civile che lavora da quattro anni per diffondere pratiche nonviolente per affermare i diritti umani e contrastare l'ingiustizia dell'occupazione.
Le DIN spagnole invitano anche tutta la rete delle Donne in Nero nel mondo a solidarizzare con questa campagna e a sostenerla attivando anche l'informazione nelle nostre comunità sugli sforzi non violenti della società civile irachena e per dare testimonianza dell'ingiustizia che subisce l'Iraq.
Vogliamo fare un appello alla ragione. Un appello alla pace. Un appello a promuovere una lotta nonviolenta.
Altri particolari sul sito LAONF.

Un altro giornalista afghano rischia la vita : campagna di RAWA


Da Cristina Cattafesta del CISDA (Comitato Italiano in sostegno alle Donne Afghane) riceviamo la seguente segnalazione.
"Naseer Fayaz, un giornalista di ARIANA TV, è stato arrestato due volte dai servizi segreti afghani e adesso chiede che gli venga concessa da UNAMA protezione per sé e per la sua famiglia. E’ purtroppo l’ennesimo caso in cui un giornalista afgano viene arrestato illegalmente e intimorito per la sua attività di denuncia."
Sul sito di RAWA (Organizzazione delle donne afghane) ulteriori informazioni sulla campagna in sua difesa.

25 luglio 2008

Jasmina Tesanovic: Il mio vicino Radovan Karadzic


Da Jasmina Tesanovic scrittrice e Donna in Nero di Belgrado riceviamo:
Radovan Karadzic, il poeta dei crimini di guerra serbi, uno dei due criminali più ricercati nei Balcani, quello con i riccioli soffici, è stato catturato la scorsa notte a Belgrado in Serbia.
Secondo le prime voci sembra che sia stato trovato nel mio stesso quartiere, dove frequentava un famoso ristorante di destra dove la gente delle ONG non era la benvenuta.
Al momento Karadzic viene trattenuto nel Tribunale speciale per i crimini di guerra di Belgrado, e sta per essere estradato al Tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’Aja. Slobodan Milosevic lo ha preceduto nella stessa trafila alcuni anni fa.
A giudicare dalle chiacchiere sul blog B92 e i messaggi telefonici che ho ricevuto dai miei amici, come ho a lungo sospettato l’”Osama bin Laden Europeo” ed io siamo stati vicini di casa. Abbiamo mangiato lo stesso cibo, visto gli stesso mendicanti nel centro di Belgrado dove lui si è nascosto per tutti questi anni, un macellaio genocida travestito da ciarlatano New Age.
Un giornalista che vive vicino a me mi ha mandato un sms che diceva: Karadzic deve aver bevuto birra con il nostro vicino zingaro in strada. Come tutti sospettavamo e come alcuni di noi sapevano per certo: Karadzic si stava nascondendo dalla giustizia dietro i nostri nomi e le nostre vite, usando la popolazione serba come suoi scudi viventi.
Il nuovo governo filoeuropeo della Serbia doveva rompere con quella politica di copertura. Così i democratici premiano i votanti che hanno a lungo sofferto e che hanno dato loro il vantaggio sui rivali nazionalisti. Anche l’ex partito socialista di Milosevic sembra aver fatto parte dell’affare.
Radovan Karadzic, poeta, psichiatra e criminale planetario di guerra numero 1 , in realtà aveva fatto perdere le sue tracce nel 1996. Il suo generale Ratko Mladic, è ancora ricercato. Karadzic e Mladic sono stati rispettivamente l’architetto e l’esecutore del genocidio di Srebrenica in cui 8000 fra uomini e ragazzi sono stati assassinati in tre giorni.
La scorsa notte il fuggitivo da lungo tempo scomparso è stato formalmente interrogato nel tribunale speciale per I crimini di guerra di Belgrado. Si tratta dello stesso tribunale dove due anni fa ho seguito personalmente il processo agli Scorpioni, partecipanti al genocidio di Srebrenica. Il nome di Karadzic fu molte volte menzionato con profonda deferenza dagli Scorpioni.
Un paio di mesi prima che gli Scorpioni fossero arrestati nel 2005, la polizia fece irruzione nella casa della famiglia Karadzic arrestando per breve tempo il figlio. In questa occasione la moglie chiese pubblicamente al marito di consegnarsi alla giustizia. Il mito creatosi attorno al suo tetro personaggio era che lui non si sarebbe mai consegnato vivo ma che sarebbe morto come un martire suicida per amore della sua famiglia e per la causa dei Serbo-Bosniaci
A Karadzic non sono mai mancati i sostenitori. Gruppi urlanti di hooligans di destra hanno trascorso la notte fuori del tribunale per i crimini di guerra gridando il suo nome e chiedendo che Boris Tadic si suicidasse salvando così la Serbia. I militanti erano vigilati da una robusta presenza di polizia e la folla si è presto dispersa.
Politici internazionali come Richard Holbrooke si congratulano ora con il governo serbo per la sua importante azione, ritardata e ostacolata per tutti questi anni. Si è spesso dato notizia di uomini che somigliavano a Karadzic in varie parti della Bosnia e della Serbia e vari presunti complici sono stati sottoposti a giudizio per complicità. Era chiaro che erano protetti da potenti alleati locali, e si presume che Karadzic sia stato arrestato ieri grazie al tradimento di qualche addetto ai lavori. C’è ancora una taglia americana di 5 milioni di dollari non riscossa per l’arresto sia di Karadzic che di Mladic; per 12 anni l’allettante gruzzolo di denaro non è stato reclamato da nessuno.
Karadzic si sta difendendo con il silenzio, ma non un completo silenzio. Ha dichiarato che il suo arresto era una “farsa” e che era stato catturato tre giorni prima da uomini mascherati e tenuto prigioniero in una piccola cella.
Durante una conferenza stampa mattutina sono stati rivelati maggiori dettagli da parte di Rasim Ljajic, un funzionario governativo serbo responsabile della cooperazione con l’Aja. Secondo Ljajic, Radovan Karadzic che ufficialmente risulta bosniaco ha vissuto a Belgrado come cittadino serbo, sotto falsa identità e con un nuovo nome- "Dragan Dabic." Il "Dott. Dabic" ha lavorato come dottore di “medicina alternativa” in una clinica privata.
Magro, occhialuto, con una incipiente calvizie e con una folta barba, Il Dott. Babic si muoveva liberamente a Belgrado. I lavoratori della clinica negano di aver conosciuto la sua vera identità Sembra che sia stato scoperto e arrestato mentre cercava di cambiare appartamento.
Il mondo è mortalmente serio riguardo alla “farsa” di Radovan dato che sul presidente Tadic, la polizia e il sistema giudiziario serbo piovono congratulazioni.
L’Aja non sarà mai popolare in Serbia specialmente dopo che il presunto criminale di guerra bosniaco Naser Oric è stato liberato malgrado gli attacchi ai serbi. Sulle rovine fracassate della Yugoslavia non ci sarà mai un’accurata distribuzione della responsabilità ma questo avvenimento rappresenta un passo gigantesco verso un ruolo vitale per una Serbia pacifica e democratica all’interno di un’Europa moderna.

22 luglio 2008

Una buona notizia: Radovan Karadzic è stato arrestato!

L'ex leader dei serbo-bosniaci, Radovan Karadzic, è stato arrestato.
Lo ha reso noto ieri sera a Belgrado la presidenza della Serbia. Karadzic è ritenuto responsabile di genocidio per l'assedio di Sarajevo, durato 43 mesi e costato la vita a 12.000 persone, e per la strage di Srebrenica del 1995, che ha portato al massacro di 8.000 musulmani. Secondo la nota della presidenza serba, Karadzic è stato "localizzato e arrestato" nelle ultime ore dalle forze di sicurezza serbe ed è attualmente detenuto a Belgrado dagli organi della procura nazionale serba per la lotta ai crimini di guerra.
Si tratta di "una buona notizia" per la comunità internazionale, afferma un portavoce della Nato. La cattura di Karadzic rappresenta inoltre sicuramente un passo in più nel processo di avvicinamento di Belgrado all'Ue.
Per noi Donne in Nero che anche come rete internazionale seguiamo da vicino le vicende della popolazione bosniaca fatta segno a vaste e operazioni di "pulizia etnica" da parte delle forze serbo-bosniache sotto la direzione di Milosevic, è una notizia che potrà forse riportare alla ribalta l'obiettivo di Verità e Giustizia perseguito tenacemente dalle Donne di Srebrenica, sperando che anche Mladic e altri latitanti possano smettere di godere di compiacenti appoggi nella loro latitanza ed essere arrestati.
L'ex leader serbo bosniaco era al primo posto fra gli ultimi tre ricercati rimasti nella lista nera del Tribunale internazionale dell'Aja (Tpi) per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Latitante da circa 13 anni, deve rispondere delle accuse di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità per il ruolo svolto nella sanguinosa guerra di Bosnia (1993-95, 200.000 morti in totale), la più feroce fra quelle scatenate dalla dissoluzione della Jugoslavia.
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20 luglio 2008

13 anni dal genocidio di Srebrenica

Riceviamo dalle Donne in Nero (ZUC) di Belgrado per il 13° anniversario del genocidio di Srebrenica, foto e testo sull'iniziativa di Belgrado.

Giovedì 10 luglio c'è stata la tradizionale vigil delle Donne in Nero a Belgrado per i 13 anni del genocidio a Srebrenica - Bosnia. Il documentario di Milica Tomic, grande filmmaker politica, è stato proiettato interamente durante la nostra vigil! Sono 15 minuti con i volti di donne della Bosnia che hanno perso membri delle loro famiglie nel genocidio di Srebrenica. Le donne sono forti, positive, coraggiose e il film è stato ripetuto 4 volte mentre noi stavamo in piedi in silenzio in semicerchio nella Piazza della repubblica a Belgrado!
Alla fine abbiamo deposto una alla volta fiori, rose bianche, come simbolo del nostro amore per le vittime a Srebrenica... e abbiamo conficcato il nome SREBRENICA scritto su carta argentata - sul pavimento.
Con Noi era Lilly Traubman delle Women in Black di Israele!
Il fatto interessante è stato che non c'erano contro-dimostranti!!! Dopo molti anni in cui siamo state con la polizia ad occhi chiusi, e con contro dimostranti che ci gridavano che ci avrebbero ucciso....questa volta nemmeno un grido!! Bene, il tragico è che il governo della città di Belgrado è ora guidato da una coalizione tra Partito Democratico e Partito di Milosevic!!- proprio il responsabile del genocidio di Srebrenica!!!
Doppio pensiero per comprendere questa nuova situazione!

in sorellanza
lepa mladjenovic
women in black belgrado